Cinque piloti in 31 punti. Tre gare alla fine. Tensione assoluta. Tensione per i piloti, chiamati agli ultimi tre giri di qualifica perfetti, a 900 chilometri di corsa durante i quali è vietato commettere errori. Tensione per la meccanica delle monoposto, spremuta come mai prima durante una stagione che non ha eguali nella Storia della massima serie. Tensione per gli uomini ai box, dal muretto ai meccanici fino agli ingegneri. Il Campionato del Mondo Piloti 2010 si decide ora.
[Godete al meglio della puntata finale leggendo, se ancora non ne avete avuto occasione, le parti I, II, III e IV del racconto].
GRAN PREMIO DELLA COREA DEL SUD CORSA CHIAVE
Yeongam, sud-est della penisola coreana. La prima edizione del Gran Premio della Corea del Sud catalizza attenzione dal mondo intero. I riflettori sono tutti puntati sui cinque piloti che si giocano uno dei mondiali più combattuti della storia, chiamati a guadagnare punti sui propri avversari correndo su una pista del tutto sconosciuta, terminata di costruire poche settimane prima. Il tracciato disegnato da Hermann Tilke presenta un mix di curve probante per le vetture, il che rende trovare l’assetto perfetto estremamente complesso. Ad un primo settore con tre lunghissimi rettilinei intervallati da curve strette segue un secondo settore denso di curvoni veloci. Il tratto finale della pista è invece medio-lento, caratterizzato da un susseguirsi di lunghe curve da affrontare in terza-quarta marcia. I protagonisti della lotta mondiale sono vicinissimi in qualifica, disputata su pista asciutta: Vettel e Webber occupano ancora una volta la prima fila, seguiti da Alonso ed Hamilton. I primi tre sono racchiusi in meno di due decimi, un’inezia dopo 5615 metri percorsi in poco più di 90 secondi.
Domenica 24 ottobre 2010. Il Circus si sveglia sotto un’incessante, fittissima pioggia. Le condizioni sono pessime, e non accennano ad un miglioramento. I semafori si spengono dieci minuti dopo l’orario previsto: tre giri ad andatura ridotta, dietro Safety Car, e le monoposto sono di nuovo ferme in griglia. Bandiera rossa. I motori verranno riaccesi solo un’ora dopo. Sessanta logoranti minuti. Il gruppo prende nuovamente il via sempre diligentemente incolonnato dietro la vettura di servizio. Qualche pilota non vuole correre, qualcuno spinge per farlo, come Lewis Hamilton, che in fondo non ha nulla da perdere. Una corsa bagnatissima è la migliore possibilità che ha di rimettersi in gioco per il mondiale. Passano quattordici tornate, poi la bandiera verde sventola sui protagonisti della corsa. Liberi tutti. Vettel guida un serpentone di monoposto che approcciano con molta cautela alle varie curve del tracciato: la pista è allagata, scivolosissima a causa del bitume non ancora del tutto assorbito, e soprattutto mai affrontata prima in corsa. Solo Rosberg su Mercedes passa Hamilton durante il primo giro. Seconda tornata, piega sinistrorsa dell’insidioso terzo settore. Webber, leader del mondiale, finisce largo. Non di tanto, ma quel che basta per toccare l’erba sintetica. Perde il posteriore, finisce sul muro dall’altro lato del tracciato, rimbalza in pista investendo l’incolpevole Rosberg. Si ritirano entrambi. Un enorme, imprevedibile colpo di scena. La corsa prosegue con diversi contatti a centro gruppo, ed una buona rimonta di Michael Schumacher tra i primi dieci. Tutti gli occhi, però, sono sui protagonisti del mondiale. Button è il primo a passare su gomme intermedie: purtroppo per lui però non ha minimamente ritmo, sospetta ci sia qualche problema nella monoposto. Rimane bloccato nelle viscere del gruppone, terminando la corsa fuori dalla zona punti. Davanti, un problema di serraggio durante il pit-stop di Alonso permette ad Hamilton di scavalcare l’asturiano, mentre Vettel guida agevolmente la corsa. Fernando passa nuovamente l’inglese alla ripartenza da una delle numerose Safety Car, grazie ad un lungo di Lewis alla prima curva. I giri passano. Poi, d’un tratto, a 10 tornate dalla bandiera a scacchi il mondiale cambia. Il motore Renault della vettura di Sebastian Vettel cede di schianto. Una nuvola biancastra avvolge la Red Bull numero 5.
Sembra il brusco risveglio da un sogno bellissimo, trasformato in pochi attimi nel peggiore degli incubi. Alonso vince la corsa e vola in testa alla classifica, accompagnato sul podio da Hamilton e Massa. Restano due sole corse, e Fernando ha undici punti di vantaggio su Webber, autore di un errore che ne segnerà per sempre la carriera.
CLASSIFICA: ALO 231, WEB 220, HAM 210, VET 206, BUT 189.
GRAN PREMIO DEL BRASILE
Quasi non fosse ancora del tutto soddisfatta del ruolo sin lì ricoperto, la pioggia si presenta di nuovo nel sabato di Interlagos. Un breve saluto, il giusto per bagnare quel tanto l’asfalto da rendere le penultime qualifiche della stagione una vera e propria lotteria. Lotteria dalla quale, al limite dell’impensabile, emerge la Williams numero 10 di Nico Hülkenberg. Il promettente pilota tedesco, campione in carica di GP2 ed al debutto nella massima serie, è stato protagonista di una stagione relativamente positiva. Qualche errore qua e là, pochi acuti ma un livello comparabile a quello del blasonato compagno di scuderia, Rubens Barrichello. Nico è eccezionale nel mettere a segno un giro perfetto nonostante la pista ancora umida, con i piloti per la prima volta su gomme da asciutto solo durante il Q3. Nomi ben più blasonati, come Alonso, non riescono a migliorare il suo responso cronometrico pur iniziando il giro dopo di lui: basta un errore piccolissimo e le gomme si raffreddano, non garantendo più la prestazione ottimale. Così il giorno dopo, sotto un sole cocente, accanto al poleman Hülkenberg si schiera Sebastian Vettel, seguito da Webber, Hamilton e Alonso. I quattro contendenti al titolo sono nuovamente vicinissimi. Eppure, la corsa sarà stranamente tranquilla, quasi noiosa. Le Red Bull fanno un solo boccone della Williams in quattro curve, Alonso impiega qualche giro in più dopo aver abilmente portato Hamilton ad un nuovo errore; Lewis, in crisi di passo, dovrà aspettare le soste ai box per disfarsi della sorpresa del fine settimana. Neanche una Safety Car a poche tornate dalla bandiera a scacchi ravviva la corsa. La doppietta di Vettel e Webber, seguiti sul podio da Alonso, consegna alla Red Bull il primo titolo Costruttori: un’impresa praticamente senza eguali nella storia delle corse, vista la giovane età della scuderia. Non mancano di certo i festeggiamenti nel box anglo-austriaco, eppure Vettel e Webber hanno uno sguardo assente, distante. La quiete della corsa di Interlagos ha tutte le sembianze di un soleggiato e rumorosissimo momento di quiete prima della tempesta mediorientale.
CLASSIFICA: ALO 246, WEB 238, VET 231, HAM 222, BUT 199.
GRAN PREMIO DEGLI EMIRATI ARABI UNITI CORSA CHIAVE
Yas Marina Circuit, Abu Dhabi. Seconda edizione del Gran Premio degli Emirati Arabi Uniti. La griglia di partenza, illuminata dal tramonto mediorientale, vede Sebastian Vettel in prima posizione. Accanto alla vettura numero 5, la McLaren di Lewis Hamilton, fermatosi in qualifica a 31 millesimi di secondo dal tedesco. Segue Fernando Alonso, autore di un giro strepitoso, capace di esaltare una F10 leggermente in difficoltà nei confronti delle avversarie rispetto ad Interlagos. La pista inaugurata un anno prima ha caratteristiche estremamente peculiari: a due settori decisamente anonimi dove qualche curva troppo lenta si unisce a rettifili infiniti, segue un terzo settore composto da 9 curve a 90°. Un supplizio tanto per le gomme posteriori quanto per lo spettacolo in pista, con le monoposto letteralmente impossibilitate a seguire qualcuno da vicino, perdendo così la possibilità di attaccare gli avversari in altre zone del tracciato. Tutto sommato, però, il terzo posto per Fernando è più che positivo, ed in fondo la rossa migliora sempre nel passo gara. Button, campione del mondo sicuro di perdere il proprio scettro già da qualche corsa, si schiera nella quarta casella della griglia; pochi metri dopo troviamo Mark Webber. Il più vicino inseguitore del capo classifica Alonso è lontano sei decimi dalla pole position, a parità di monoposto. Un’era geologica, quando ci si gioca il mondiale. Forse l’australiano ha sofferto la decisione del muretto Red Bull di non scambiare le posizioni dei piloti durante i giri finali ad Interlagos: una mossa che avrebbe avuto senso solo se le speranze fossero state tutte riposte nel meglio piazzato Mark. Evidentemente, non era così.
Il nuovo punteggio in vigore dal 2010 (dal primo al decimo classificato secondo la sequenza 25-18-15-12-10-8-6-4-2-1) rende pressoché infinite le combinazioni per cui uno tra Hamilton, Alonso, Vettel o Webber può vincere il titolo a Yas Marina. Per tutti e quattro, però, si può almeno inquadrare un obiettivo minimo. Hamilton deve per forza vincere la corsa, con in contemporanea Alonso non meglio di 10°, Webber al massimo 6° e Vettel 3°. Lo stesso Sebastian deve guadagnare almeno 7 punti su Webber e 15 su Alonso: vincendo la corsa, gli basterebbe che Fernando arrivasse 5° o peggio ed il mondiale sarebbe suo, indipendentemente dai risultati degli altri. Webber, sulla carta, ha il recupero più semplice da affrontare: le combinazioni che gli permettono di recuperare 8 punti su Alonso sono diverse, anche se deve comunque terminare a non più di due posizioni da Vettel,in caso di podio del tedesco, per evitare brutte sorprese. Alonso, ovviamente, è il pilota meglio piazzato: un primo o un secondo posto gli assicurano il mondiale. Il terzo gradino del podio lo fa solo se sul primo non sale Webber, così come un solido quarto posto. Dalla quinta piazza in giù le probabilità favorevoli si assottigliano, con nessuna delle due Red Bull che può vincere la corsa.
Si accendono i cinque semafori, uno dopo l’altro. La tensione sale alle stelle. La stagione 2010, una stagione pazza, lunghissima, piena di intrighi, polemiche, colpi di scena e prestazioni meravigliose sta per volgere al termine. Mancano solo 100 minuti, 55 giri. Una frazione di secondo di silenzio, poi l’urlo dei V8 aspirati invade l’isola artificiale dell’Emirato. Vettel mantiene la testa del gruppo, mentre Button passa Alonso. Il serpentone di monoposto prosegue ordinato fino al termine del primo settore, dove affronta una chicane strettissima che conduce ad un lento tornantino. È questo, col senno di poi, il momento che cambia il mondiale 2010, e con lui la vita professionale di molti dei protagonisti di questa folle stagione. Michael Schumacher, l’eroe dell’epopea Ferrari dei primi anni 2000, perde la vettura battagliando con il compagno di squadra Rosberg a centro gruppo, commettendo un banale, normalissimo testacoda. Si ferma in mezzo alla pista, mentre sopraggiungono una quindicina di monoposto. Liuzzi non riesce ad evitarlo, carambolando sul fianco della Mercedes W01 e sfiorando il casco del tedesco. I due sono fortunatamente illesi. Entra in pista la Safety Car, per l’ennesima volta in stagione. Sembra un momento di semplice pausa nella sfida al vertice, e lo è per certi versi. Intanto, però, Petrov su Renault e lo stesso Rosberg su Mercedes imboccano la pit-lane per scontare subito il pit-stop obbligatorio. Nulla di drammatico si pensa, una mossa semi-disperata, classica di chi combatte a centro gruppo.
Alla ripartenza i piloti procedono nello stesso ordine. Alonso prende ritmo, è il più veloce in pista con il passare dei giri. Dietro di lui Webber perde il posteriore e tocca un muretto. Nessun danno, ma è il segnale che le posteriori cominciano a cedere. Il muretto Red Bull prende una decisione drastica, non sapremo mai se facendo o meno scattare una trappola verso la Ferrari. Mark rientra ai box, nonostante la certezza di tornare in pista dietro a Rosberg e Petrov. Già in quel momento esiste la possibilità che i due portino a termine la corsa senza ulteriori soste, eppure guidano monoposto inferiori, dovrebbero essere semplici da superare, soprattutto al degradarsi dei loro pneumatici. È l’undicesimo giro. Quattro tornate dopo, nonostante un buon passo, la Ferrari decide di richiamare Alonso ai box. Coprire Webber sembra troppo importante. L’operazione riesce, ma Fernando rientra dietro a Petrov. Al muretto rosso bastano poche tornate per comprendere la beffa. Alonso non riesce a passare il russo, neanche dopo un disperato tentativo a ruote fumanti. Lo spagnolo - penalizzato dalla conformazione del tracciato - fatica ad avvicinarsi in rettifilo alla monoposto francese, velocissima per tutta la stagione sul dritto ma comunque lenta nel passo ad Abu Dhabi. La situazione si fa critica, i richiami al talento di Fernando via radio, ad una magia dell’asturiano, sempre più frequenti. Il tempo scarseggia, ad ogni giro che passa l’impresa diventa più ardua: dopo Petrov, Fernando dovrebbe raggiungere e sopravanzare Kubica – sempre su Renault ma con gomme più soffici e più fresche – e Rosberg, al fine d’agguantare l’agognato quarto posto. Davanti non cambiano le posizioni.
Giro 55: Sebastian Vettel taglia per primo il traguardo. Sotto alla bandiera a scacchi passa Hamilton, secondo. Segue Button, terzo. Poi diciannove, lunghissimi secondi. Dall’ultima curva sbuca una monoposto grigia: è la Mercedes di Rosberg.
‘Crash Kid’, così era stato soprannominato da Martin Whitmarsh, DT McLaren, dopo l’incidente con Button di Spa. Il ragazzo delle pole-position troppe poche volte convertite in vittoria. Il pilota con il maggior numero di guasti tecnici, terminali o meno, patiti in stagione. La scommessa del vivaio Red Bull che sì impressionava, ma che si pensava non fosse capace di reggere la pressione di una sfida iridata. Tutto spazzato via da una corsa perfetta, grazie alla quale poter sfruttare l’infinito dramma sportivo della Ferrari e di Fernando Alonso. Forse caduti in una trappola, forse vittime di un semplice errore strategico commesso nel momento sbagliato dentro a una corsa dalla storia sbagliata.
Sebastian Vettel è Campione del Mondo di Formula 1.
CLASSIFICA FINALE: VET 256, ALO 252, WEB 242, HAM 240, BUT 214.
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