Esistono stagioni già scritte, senza storia. Spesso, però, ciò emerge solo tempo dopo, e contribuisce enormemente nella valutazione di episodi più o meno controversi accaduti al tempo. L’ultimo giro del Gran Premio d’Austria 2001 è uno di questi.
13 maggio 2001. Spielberg, Stiria. Sulla versione castrata del mitico Österreichring splende un sole meraviglioso, mentre le montagne intorno al tracciato esplodono di verde. Ventidue piloti si schierano in griglia per prendere parte al sesto appuntamento del Campionato del Mondo di Formula 1.
La casella della Pole Position è occupata da una figura ormai familiare. Vettura rossa, casco rosso, iride ai lati del roll-ball: Michael Schumacher. L’uomo capace di riportare, sette mesi prima, il titolo a Maranello. Il tedesco sembra inevitabilmente destinato a ripetersi. Tre vittorie nelle prime cinque gare, quattro pole position. La F2001 è velocissima, nelle sue mani macina giri a ritmo di qualifica tra un pit-stop e l’altro in vista dell’ennesimo trofeo da aggiungere in bacheca.
Gli avversari rimangono faticosamente a galla. Le McLaren, solo due anni prima imbattibili, sembrano aver perso definitivamente lo scettro di vetture più veloci. Solo Coulthard, grazie a una vittoria in Brasile e al ritiro di Michael a Imola, è riuscito a contenere il distacco in classifica, presentandosi a Spielberg a otto lunghezze da Schumi. Le Williams-BMW danno al contrario l’impressione di essere ancora troppo fragili e imprevedibili. Ralf Schumacher ha vinto a San Marino, la FW23 sfrutta egregiamente tanto le coperture Michelin – veloci sul giro secco ma incostanti in gara – quanto il motore bavarese, ormai il più potente in griglia. Non abbastanza, però, perché la supremazia del binomio Schumacher-Ferrari venga intaccata.
In Austria, sorprendentemente, la scuderia più in forma sembra essere proprio la McLaren. Per tutte le prove libere Hakkinen e Coulthard si contendono il primato cronometrico, eccellendo anche nelle simulazioni di gara. Il sabato pomeriggio, però, un cambio di set-up errato relega entrambi in quarta fila. Troppo distanti dalle Ferrari perché il passo ritrovato nel warm-up di domenica mattina possa renderli seri contendenti alla vittoria. O almeno, così pensano.
Al via si verifica una singolare ecatombe di Launch Control, i sistemi elettronici che aiutano il pilota in partenza diventati uno dei principali terreni di sfida tecnica tra le scuderie. Rimangono al palo Trulli (5° con la Jordan), Heidfeld (6° con la sorprendente Sauber-Ferrari), Hakkinen (8°) e Frentzen con la seconda Jordan. Schumacher scatta invece molto lentamente facendosi sopravanzare da Montoya e suo fratello Ralf. Il direttore di gara ordina alla Safety-Car di entrare in pista per permettere ai commissari di percorso la rimozione delle vetture stallate, compattando il gruppo che vede un sorprendente Irvine 6° con la Jaguar, solitamente in enorme difficoltà a causa della vettura quasi inguidabile.
Alla ripartenza Montoya prova ad involarsi senza però riuscire nell’impresa: le sue Michelin, come quelle di Ralf Schumacher, dopo pochi chilometri cominciano a mostrare i segni di un fastidioso graining, fenomeno che determina lo scrostamento della superficie dello pneumatico a causa di eccessivi slittamenti. Si forma così un trenino di vetture che seguono le Williams-BMW. Dopo le Ferrari di Schumacher e Barrichello troviamo l’arrembante Verstappen su Arrows, visibilmente scarico di carburante – sarà tra i pochi ad effettuare due soste -, Coulthard e un giovanissimo finlandese al volante della seconda Sauber. Il ragazzo ha stupito l’intero paddock a Melbourne, finendo a punti al debutto dopo un solo anno in Formula Renault. È molto timido, parla con un filo di voce e ha un controllo della monoposto che lascia di stucco. Si chiama Kimi Räikkönen.
Dopo 10 dei 71 giri previsti accade il primo colpo di scena: la Williams di Ralf Schumacher finisce lunga in curva 3 per poi ammutolirsi, lasciando strada libera alla Ferrari del fratello che subito segna il giro più veloce raggiungendo in meno di una tornata Montoya. Michael punta l’avversario, si fa vedere ripetutamente negli specchietti. Inizia un duello spettacolare, nel quale la velocità sul dritto della Williams permette al colombiano di guadagnare pochi, decisivi metri ad ogni accelerazione. Juan-Pablo chiude ogni porta, soprattutto in frenata, impedendo a Schumi di portare a termine sorpassi sempre più fantasiosi. I piloti del Cavallino Rampante sanno che Coulthard, l’unico capace di reggere il loro passo, grazie alla pessima partenza è troppo vicino. Devono affondare la staccata. Alla 14° tornata i primi tre si aprono a ventaglio al tornantino, ma Montoya resiste. Due giri dopo, Schumacher esce benissimo dalla prima curva, affiancando la vettura bianco-blu già a meta rettifilo. La Williams copre l’interno, ma al tornantino Michael affonda la staccata. Se il colombiano lasciasse lo spazio necessario potrebbe proseguire secondo, ma non ci sta. Molla il pedale del freno, per poi aggrapparvisi con tutta la forza che ha, rischiando di perdere in sovrasterzo la vettura. Finisce lunghissimo, nella ghiaia, bloccando il passaggio alla Rossa del campione del mondo, che grazie ad ottimi riflessi evita il contatto ma, dovendo passare nell’erba, precipita sesto.
In meno di dieci giri la vettura numero 1 è di nuovo al terzo posto, dopo aver sorpassato la BAR-Honda di Panis e la Sauber di Räikkönen. Ogni volta che si trova in aria libera il Kaiser mostra un passo irraggiungibile per chiunque altro, ma non abbastanza veloce da permettergli di passare Barrichello (1°) o Coulthard (2°). I tre, tutti dotati di gomme Bridgestone, sanno che sarà in vantaggio chi si fermerà per ultimo. Anche solo un giro in più, grazie alla vettura scarica di carburante e agli pneumatici giapponesi sempre competitivi, potrebbe regalare la testa della corsa.
Al 40° passaggio Montoya si ritira per noie meccaniche. Sei giri dopo Schumacher è il primo ai box. Nel giro di uscita il Kaiser finisce leggermente lungo in frenata alla curva Schlossgold, perdendo ogni opportunità – comunque limitata – di passare Barrichello, ai box nelle tornata successiva. Coulthard rimane in pista quattro giri in più. La grande quantità di carburante imbarcata dagli strateghi McLaren probabilmente serviva a sopravanzare le Williams, Trulli e Heidfeld. La mossa, invece, si rivela vincente. Rientrato in pista David non scorge le Ferrari. È primo.
Le Rosse in pochi giri sono di nuovo in coda alla McLaren. Più veloci, ma non quel tanto che basta a tentare il sorpasso. La corsa sembra finita, dietro Räikkönen è gran 4°, Panis 5° e Verstappen 6°. Tutti, però, sanno del patto non scritto, e mai ufficiale, che vige in Ferrari. Fino a quando non è deciso il campionato, Rubens Barrichello deve aiutare Michael Schumacher ogni qualvolta gli sia possibile. Anche se in gara è stato più veloce (eventualità, come abbiamo visto, non esattamente calzante al GP d’Austria). Le gerarchie stabilite da Todt – secondo il manager francese ogni stagione dopo quattro gare – vanno rispettate, senza discutere. L’ordine di scuderia per Rubens non dovrebbe essere una novità, anzi. Addirittura i commentatori inglesi già da metà gara danno per certo lo scambio di posizioni.
Il brasiliano, però, non ci sta. In un moto d’orgoglio si rifiuta, conscio probabilmente dell’assoluta competitività della F2001. Un terzo posto non toglierà di certo la seconda iride consecutiva a Michael. Todt, però, insiste alla radio. Il patto era chiaro ben prima della corsa, le ferite delle stagioni-beffa 1997, 1998 e 1999 mai veramente rimarginate.
Barrichello si fa da parte dopo l’ultima curva, frenando vistosamente. L’insubordinazione di Rubens gira il mondo in pochi minuti. È in tutti i telegiornali, riempie le pagine dei quotidiani il giorno dopo, mentre pochi ricordano la vittoria di Coulthard, ora a due punti da Schumacher.
Il dibattito in merito alla scelta di Todt, accesso ancora oggi, divenne rovente un anno dopo, sempre in Austria. Quella, però, è un’altra storia di ordini di… Stiria.
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