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Immagine del redattoreLuca Ruocco

Congelamento Motori: come andò l'ultima volta?


Gli esiti dell’ultima riunione della Formula 1 Commission, organo formato da FIA, FOM e squadre per discutere i regolamenti della massima serie, hanno provocato un’infinità di reazioni negative da parte degli appassionati. Se il ‘nì’ alla Sprint Race ha solamente posticipato l’ondata di proteste – non del tutto prive di fondamento, ne abbiamo parlato qui – che seguirà l’annuncio di esperimenti del genere, il congelamento delle Power Unit dalla prossima primavera ha colpito nel profondo dell’animo i più tradizionalisti. Eppure, non è la prima volta che il motore perde lo status di elemento principe, assieme all’aerodinamica, nel decretare il successo o meno di una vettura. Quando accadde? Quali furono le conseguenze, tanto dal punto di vista tecnologico quanto da quello sportivo? Perché in molti sembrano non ricordarlo, dipingendo le stagioni segnate dallo stesso come l’ultima epoca felice della massima serie?


IL CONGELAMENTO 2022


Prima di tuffarci nel passato, mettiamo in chiaro le conclusioni in materia motoristica raggiunte nella giornata di ieri. Prima di tutto, il congelamento delle Power Unit ibride non è una misura concepita in queste fredde giornate invernali. Al contrario, in seguito al primo lockdown della scorsa primavera le scuderie si misero d’accordo su uno stop agli sviluppi dei V6 turbo-ibridi dal 2023, con l’introduzione dei motori di nuova concezione dal 2026. Tale meccanismo è stato semplicemente anticipato di un anno; le nuove architetture arriveranno nel 2025, mentre verrà concesso solo uno sviluppo finale nel prossimo inverno (imprescindibile per adottare carburanti sintetici al 10%) prima del congelamento ufficiale da Melbourne 2022. Conseguentemente, nei prossimi mesi Honda potrà progettare la versione definitiva del suo V6, così da permettere a Red Bull la gestione autonoma delle Power Unit anche senza un reparto di ricerca e sviluppo.


Uno dei nodi cruciali riguardanti il congelamento delle Power Unit ibride verte sul cosiddetto bilanciamento delle prestazioni (BOP in inglese). Per evitare scenari sportivamente complessi – ci torneremo tra pochissimo -, Ferrari e Red Bull proponevano aiuti artificiali ad eventuali costruttori dotati di un motore, dal 2022, palesemente inferiore al vertice della concorrenza. In soldoni, l’obiettivo sarebbe quello di mantenere tutte le unità propulsive in una finestra del 2% di prestazioni (20 cv su 1000 cv di potenza massima, ad esempio). Per capirci ancora meglio, si tratterebbe della metà dell’enorme divario pagato dall’unità di Maranello nei confronti di quella Mercedes durante la passata stagione. Fonti inglesi raccontano del totale accantonamento di un’idea del genere dopo l’accordo di ieri, mentre dalla Germania viene indicata come certa un’operazione di bilancio dal 2023, in base alle prestazioni del 2022.


IL CONGELAMENTO 2007


In pochi sembrano ricordalo mentre, scandalizzati, si indignano per la direzione presa dalla massima serie dopo le infelici scelte di questa seconda settimana di febbraio, decisioni destinate a rovinare per sempre lo spirito della massima serie. Eppure, dopo il Gran Premio di Interlagos 2006 (per inciso, l’ultima corsa di Michael Schumacher al volante della Ferrari), lo sviluppo dei motori aspirati V8 fu congelato fino al 2013. Nessuno, però, sembra considerare meno valido di qualsivoglia altro mondiale l’iride di Raikkonen in Ferrari, la favola Brawn GP o i successi a ripetizione dell’armata Red Bull. Anzi, a livello tecnologico furono sette stagioni ricche d’innovazione anche per quanto riguarda il motore.


Procediamo con ordine. Tre anni prima della grande crisi economica che sconvolse l’occidente, il dorato mondo della Formula Uno cominciava a fare i conti con la sfarzosa era Ecclestone. I costi lievitati all’infinito e la supremazia Ferrari minacciavano un ecosistema intrinsecamente fragile, così fu deciso di colpire i motori tanto per tagliare le spese quanto per danneggiare uno dei principali punti di forza della corazzata di Maranello. Dal 2006 i propulsori V10 3000cc avrebbero perso due cilindri, diventando così V8 a bancata di 90° da 2400cc. L’alesaggio fissato a 98mm e il peso minimo stabilito a 95 kg, poi, lasciavano davvero minime possibilità di differenziazione tra i costruttori. Il regime di rotazione fu limitato a 19000 giri/min per il 2006, stagione durante la quale i motori guadagnarono una trentina di cavalli rispetto all’esordio. Come da piani, le unità motrici (tutte intorno ai 750cv di potenza massima) furono congelate appena dopo il GP del Brasile, limitandoli ulteriormente a 18000 giri/min per il 2007, così da assicurare la durata necessaria a coprire con otto propulsori l’intero campionato.


LO SVILUPPO TECNOLOGICO FU ARRESTATO?


È bene sottolineare come, da un punto di vista puramente regolamentare, un vero e proprio congelamento delle unità non si ebbe nel 2007 e non si avrà, con tutta probabilità, neanche dalla prossima stagione. Se l’era ibrida vedrà ancora permesso l’importantissimo sviluppo dei software di gestione della Power Unit (anche se con qualche limitazione nel numero di specifiche rispetto alla libertà assoluta odierna), durante l’ultima era aspirata fu possibile introdurre nuove specifiche di benzina e olii vari senza grossi condizionamenti – più difficile questo accada dal 2022, in nome del contenimento dei costi -. Si parla di stop agli sviluppi perché è vietata una nuova progettazione delle macro-componenti elettro-meccaniche come valvole, pistoni, statore del motore elettrico e via dicendo. Ciò non toglie che sia permessa qualche modifica volta al raggiungimento di una migliore affidabilità: nel 2007 Honda e Renault, sfruttando questo cavillo, migliorarono il proprio processo di combustione avvicinandosi significativamente a BMW e Ferrari in quanto a potenza massima, mentre Mercedes guidava il gruppo grazie a qualche cavallo in più (5-10).


Segno molto più concreto della possibilità di scoprire comunque nuove strade tecnologiche fu la stagione 2011. Gli ingegneri Renault, per poter sfruttare la geniale trovata di Adrian Newey conosciuta come scarichi soffianti, elaborarono una strategia incredibilmente precisa nella gestione dei flussi agli scarichi. Iniettando benzina anche a farfalla chiusa, e sincronizzando adeguatamente l’immissione con le onde di pressione tipiche dei condotti di scarico, i francesi fecero sì che un flusso estremamente caldo raggiungesse gli estremi del fondo vettura, sigillando iper-efficacemente il diffusore posteriore. Si aveva così una crescita del carico tanto in accelerazione quanto, soprattutto, in frenata, il che fu magistralmente sfruttato da Vettel nell’elaborare uno stile di guida pressoché imbattibile. Basta ascoltare la musica del video qui sotto per capire come il congelamento non influenzò minimamente la creatività di alcuni dei migliori ingegneri al mondo.


LA SPORTIVITA’ DEL CONGELAMENTO


Quattro delle sette stagioni in questione (2007-2013) videro il titolo piloti assegnato all’ultima corsa. Una rarità, un sogno proibito per chi è reduce da più di un lustro di dominio argentato. Si potrebbe quindi concludere che, in fondo, basti il congelamento a livellare la competizione motoristica tra le scuderie. Si commetterebbe, però, un gravissimo errore.


Anzitutto, da un punto di vista logico è bene ricordare l’enorme salto di complessità presente tra i V8 aspirati (con o senza KERS) e i V6 turbo-ibridi. Inoltre, le ultime unità atmosferiche godevano fondamentalmente di circa quindici anni di sviluppo, dato che discendevano direttamente dagli aspirati V10 nati nel lontano 1989.


In secondo luogo, non tutto ciò che luccicava era oro. Honda e Renault furono sufficientemente scaltre da riuscire a rimediare ai propri errori progettuali, come ricordato poco fa. Toyota, al contrario, si presentò al via della stagione 2006 con un motore estremamente fiacco rispetto a quelli della concorrenza, Cosworth esclusa. Forse per cultura, forse per mancanza di scuse effettive (le unità Honda e Renault si rompevano davvero frequentemente), gli ingegneri della casa giapponese non riuscirono ad aggiornare adeguatamente l’unità motrice disegnata da Marmorini entro fine 2006. Il risultato fu che il più grande colosso automobilistico al mondo, anche quando ebbe una vettura potenzialmente da titolo (2009, in copertina), non riuscì a vincere neanche una gara, figurarsi il titolo iridato. Jarno Trulli ricorda con grande amarezza proprio la stagione di Brawn e Button, quando il telaio rimase competitivo dall’inizio alla fine (vittorie sfiorate in Bahrain e a Suzuka), ma il motore rendeva la squadra bianco-rossa sconfitta in partenza. L’abruzzese ha raccontato nel dettaglio le sofferenze del propulsore nipponico in un’intervista a Motorsport.com nella scorsa primavera.


Si può quindi concludere che, in sé e per sé, il congelamento dei motori rappresenti una significativa opportunità di aumento della competitività in pista, ed anche affermare che rinneghi del tutto lo spirito d’innovazione della categoria è un errore. Applicarlo senza prevedere bilanciamenti, però, potrebbe rappresentare un male ben peggiore della medicina.

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