Sgombriamo preventivamente il campo da qualunque possibilità di fraintendimento. Il DAS, il sistema introdotto durante questi primi test 2020 da Mercedes per cambiare in movimento la convergenza delle ruote anteriori, è semplicemente geniale. Tocca quelle corde “meccaniche” dell’anima degli appassionati in modo diretto, senza filtri, da qui il successo e l’ammirazione generale suscitata. Al di là dei dettagli tecnici del funzionamento del sistema, che rimarranno probabilmente segreti a lungo, è semplice da capire ed ammirare. Il pilota muove a sé il volante? Le ruote ‘chiudono’ la convergenza. Lo riporta in posizione naturale? Le stesse si ‘aprono’ nuovamente. Ha la magia di quelle intuizioni che possono essere colte da chiunque, non necessitano una laurea in ingegneria per essere ammirate o qualcuno che con grafiche iper-complesse tenti di far visualizzare un flusso d’aria del quale, in realtà, mica si è mai capito tanto bene il compito. Il DAS fa rimanere a bocca aperta. È l’esempio lampante di quell’innovazione che affascina, colpisce e lascia interdetti perché dà l’illusione di essere qualcosa a cui, almeno a grandi linee, più o meno chiunque avrebbe potuto pensare. Semplicità che si lega alla genialità. Niente motori nascosti dal carbonio, gruppi turbocompressore nei quali si spilla olio dall’intercooler, attacchi della sospensione integrati nella scatola del cambio.
Chiariamo anzitutto, secondo quanto raccolto nella prima giornata di commenti riguardo al sistema, il perché svilupparlo ed utilizzarlo in una vettura di F1. La convergenza indica l’angolo che le ruote mantengono rispetto all’asse longitudinale della vettura. Immaginate di avere degli sci ai piedi: li si può mantenere dritti – il modo per raggiungere la velocità massima -; si può aprire la convergenza avvicinando i talloni creando una V con gli sci guardando dall’alto; la si può chiudere allontanandoli, tenendo gli sci a spazzaneve e creando una A senza stanghetta. Generalmente gli ingegneri delle scuderie adottano, all’anteriore, una convergenza leggermente aperta (parliamo sempre di pochi gradi). Questo per far sì che le ruote anteriori ritardino qualche centesimo di secondo il momento in cui si ‘aggrappano’ all’asfalto dopo che il pilota ha inserito la monoposto in curva, in modo tale da dare tempo al posteriore di ottenere anch’esso il giusto livello di grip. Non fosse così, l’anteriore risulterebbe eccessivamente puntato, obbligando il pilota a dover fare i conti in entrata di curva con una monoposto ballerina al retrotreno. Tale accorgimento ha, inevitabilmente, delle controindicazioni: la parte più interna degli pneumatici anteriori si surriscalda, creando problemi di blistering – formazione di bolle che risalgono in superficie –, ed inoltre aumenta leggermente la sezione anteriore della vettura, il che crea maggiore resistenza aerodinamica, deleteria per le velocità massime ed i consumi.
Il DAS ha perciò una miriade di possibili vantaggi: gestire la convergenza può aiutare a scaldare prime le gomme nel giro di preparazione in qualifica; può favorire il raggiungimento nei soli rettifili di velocità più elevate, raffreddando al contempo le coperture se la pista esige ciò; al contrario, in tracciati dai rettifili lunghissimi, può servire a prevenire un eccessivo raffreddamento degli penumatici anteriori, il che porta spesso a bloccaggi oppure all’affrontare in maniera non ottimale le prime curve dopo gli stessi. Insomma, ad una prima valutazione, è molto complesso quantificarne un esatto guadagno in termini di tempo sul giro, piuttosto già adesso si può comprendere come possa decisamente aiutare nella gestione delle coperture durante la corsa.
Giù il cappello, quindi, davanti ad una soluzione oggettivamente geniale. Tutto qui? Non proprio. In Mercedes sono sempre stati maghi della comunicazione. Tralasciamo, per ora, il sospetto che la sostanziale tranquillità con la quale hanno evitato di nascondere il DAS alla concorrenza – sicuramente avranno preventivato che qualcuno lo scoprisse vista la diretta integrale dei test – indichi come in realtà non sia questo sistema il fiore all’occhiello della W11. Avrà di certo dei vantaggi, potrebbe rivelarsi l’arma in più in un’eventuale lotta per l’iride, ma se avesse avuto delle ripercussioni sulle prestazioni stile doppio diffusore della Brawn GP nel 2009 lo avrebbero nascosto meglio. Il simulatore avrebbe dato ad Hamilton e Bottas tutto il tempo di abituarsi all’utilizzo del sistema prima di Melbourne. Piuttosto, se si è amanti della psicosi collettiva da mondiale finito durante i test, ci si limiti a notare il passo gara di Hamilton ieri o come ad ogni stint il campione del mondo e Bottas sembrino grosso modo stampare i tempi che vogliono quando vogliono, con una monoposto visivamente agilissima e piantata a terra, a differenza, ad esempio, della SF1000 che ha ancora però tutto il tempo di migliorare.
Quanto invece fa davvero riflettere è come un’abile comunicazione ed un’invenzione che, ripetiamo, lascia piacevolmente affascinati per l’ingegno che dimostra, nasconda totalmente un almeno altrettanto abilissimo sfruttamento di una zona grigia del regolamento. Assurdamente, l’unica persona coerente del paddock sembra essere Helmut Marko, che ha subito addotto a dei motivi per cui la soluzione dovrebbe essere ritenuta illegale (la variazione di convergenza varia minimamente l’altezza da terra attivamente in corsa, il che corrisponde ad una sospensione attiva). Non interessa qui spulciare il regolamento interpretandolo o meno a favore del DAS, oppure notare come la bozza delle norme 2021 sembri molto più precisamente già ora vietare tali marchingegni. Esistono fior di articoli che approfondiscono il problema. Quanto preme sottolineare ora è che non basta tirare fuori belle parole e sorrisi a trentadue denti come fatto da Allison in conferenza stampa, descrivendo il DAS come ‘una nuova dimensione nella sterzata’, approfittare dell’ammirazione generale dovuta al fatto che il sistema si vede ed è comprensibile, per nascondere a chiunque la vera natura del DAS. Ossia quella di una furbata, che per quanto appigli normativi potranno definire legale, rimane un intelligente sfruttamento di una zona grigia del regolamento. Si può benissimo rapinare una banca sostenendo di star portando a termine uno studio sui movimenti dei muscoli facciali di persone sotto stress. Si può tollerare qualunque cosa, si possono ammirare le più disparate invenzioni, ma quando Hamilton tira a sé il volante NON sta aggiungendo una nuova dimensione alla sterzata. Sta semplicemente variando un parametro d’assetto – a mio modo di vedere sospensivo – mediante un furbissimo meccanismo mai immaginato prima. Violando, al contempo, lo spirito di più di una norma: mantenere l’altezza da terra, non variare lo schema sospensivo, non utilizzare parti aerodinamiche attive.
Capiamoci meglio: il Push-rod On Upright, ossia il punto d’attacco del puntone della sospensione anteriore disassato rispetto al mozzo ruota, permette all’ala di rimanere più bassa durante la curva accentuandone il lavoro aerodinamico. Insomma, una variazione d’assetto. Il sistema, però, è completamente passivo. Una geniale costruzione permette un vantaggio secondario al movimento principale dettato dal pilota in curva, ossia la sterzata. Non si può evitare tutto ciò, il sistema è fisso ed indipendente da movimenti portati a termine esclusivamente per attuarlo. Al contrario, il muovere avanti e indietro il volante dei piloti Mercedes serve unicamente allo scopo di correggere la convergenza in corsa. Legale o meno che sia, non mi si venga a raccontare frottole futuristiche riguardo a nuove dimensioni del pilotaggio.
Si vocifera, pratica mai ufficialmente ammessa, che parte del vantaggio della Power Unit Ferrari, lo scorso anno, derivasse dall’utilizzo in camera di combustione dell’olio spillato dall’intercooler. Ammesso fosse vero, c’era anche qui dell’ingegno raffinatissimo nello sfruttare una zona grigia del regolamento, poi corretto. Anche qui lo spirito delle norme, che vietavano l’utilizzo di oli specificatamente come additivi, veniva aggirato. La Ferrari è stata vittima di una crociata meditico-sportiva che ne ha minato i grandi meriti in quanto primo motorista, mettendo in dubbio il serio, intelligente ed incredibilmente innovativo lavoro di centinaia di ingegneri.
Vogliamo assumere il ruolo di giustizieri dei furbetti? Facciamolo sempre. Evitando, per favore, di idolatrare chi fa il furbo tanto quanto altri, annebbiandoci la vista con racconti ad effetti speciali.
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