Qualunque indiscrezione sia possibile cogliere in questo tardo autunno di corse sembra confermare che, nel 2021, i piloti Haas saranno Mick Schumacher e Nikita Mazepin. Ad oggi la scuderia statunitense si è limitata a confermare, tra l’altro a seguito di un semi-pasticcio comunicativo, il mancato rinnovo di Romain Grosjean e Kevin Magnussen; conseguentemente, da un punto di vista del tutto ufficiale i volanti delle due VF20 non possiedono ancora un padrone.
Il discorso cambia appena ci si spinge nel mondo dell’ufficioso: Günther Steiner non ha smentito contatti con la famiglia Mazepin e, soprattutto, ha candidamente ammesso l’arrivo di un alfiere della Ferrari Driver Academy, la scuola per giovani piloti del Cavallino Rampante. Mick Schumacher ne fa parte e può godere di credenziali nettamente migliori rispetto a Shwartzmann e Illott, sia per quanto riguarda l’andamento del campionato cadetto (dove il tedesco è in testa alla classifica), sia per l’indiscutibile attrattiva che il suo nome esercita dal punto di vista commerciale.
L’arrivo di due piloti tanto giovani rivoluzionerebbe il panorama decisamente statico dentro al quale, ormai da quattro stagioni, si muove il team statunitense. In che modo, e quali potrebbero essere le conseguenze?
UNA SCUDERIA ATIPICA
Per comprendere quale futuro potrebbe attendere la Haas, bisogna prima ricordarne brevemente la storia, una vicenda tanto peculiare quanto coraggiosa.
Il team a stelle e strisce nasce dall’idea di Gene Haas, patron dell’omonima azienda produttrice di macchine per lavorazioni meccaniche. Proprietario dal 2002 di una scuderia NASCAR, l’imprenditore nato in Ohio pianificò nei minimi dettagli l’entrata in Formula Uno grazie all’aiuto di Günther Steiner, figura di spicco dell’avventura Jaguar nel Circus dei primi anni 2000 e, successivamente, a sua volta imprenditore nel campo dei compositi.
L’intuizione vincente dei due fu principalmente comprendere che, considerate le disastrose avventure dei team nati nel 2010 (Lotus, Virgin e HRT), abbracciare una filosofia integralista riguardo la progettazione e la costruzione della monoposto avrebbe condotto il progetto ad un sicuro fallimento. Il piano fu quindi del tutto differente rispetto a quanto fosse lecito ipotizzare. Individuato un partner motoristico (Ferrari), si procedette ad estendere il più possibile la collaborazione, acquistando dallo stesso il maggior numero di elementi possibili (cambio, sospensioni, freni…). La seconda, concretissima mossa riguardò l’ingaggio di Dallara, azienda leader nella produzione di monoposto da corsa, per la costruzione del telaio e la relativa consulenza ingegneristica. Il modus operandi della scuderia statunitense, sin dalla prima vettura del 2016, fu presto chiaro: le varie VF avrebbero somigliato spiccatamente alla Rossa della stagione precedente, ispirandovisi massicciamente nelle forme aerodinamiche generali per poi introdurre, nel corso della stagione, qualche aggiornamento mirato. Sfruttando un parallelo con il presente, si potrebbe affermare che le Haas rappresentino l’ultimo stadio prima della copia-carbone totale in stile Racing Point RP20. La geniale strategia ebbe successo pressoché immediato (Grosjean andò a punti a Melbourne 2016), garantendo un campionato d’esordio al di là delle aspettative e un forte contenimento dei costi. Nonostante diverse polemiche riguardo la stretta collaborazione tra Haas e Ferrari, il team statunitense vi rimane fedele ancora oggi.
I risultati parlano chiaro: escludendo la sfortunata vettura 2019, sofferente gravi instabilità aerodinamiche, la competitività della compagine grigio-rossa ha seguito quella del Cavallino Rampante, solamente in ritardo di un anno. La migliore vettura di Maranello degli ultimi anni è stata la SF70-H del 2017, e guarda caso il quinto posto in classifica Costruttori del 2018 rappresenta un record imbattuto (oltre che un exploit di tutto rispetto) per la scuderia di Kennapolis.
Alla stabilità strategica, Gene Haas ha deciso di affiancare un altrettanto rara stabilità dirigenziale: la scuderia è saldamente nelle mani di Steiner, il quale è affiancato da una squadra tecnica rimasta pressoché immutata nel tempo, soprattutto agli alti livelli. Stesso dicasi per i piloti: Grosjean ha accompagnato il team in tutte le stagioni, mentre Magnussen ha sostituito il messicano Gutierrez nel 2017.
LA RIVOLUZIONE 2021
A differenza dell'intero Circus di Formula Uno, che vedrà posticipata di un anno la rivoluzione ad effetto suolo targata 2021, il team Haas vivrà già nella prossima stagione un considerevole cambiamento. Senza sottovalutare l'impatto che potrà generare la sostituzione di una coppia di piloti tanto duratura come quella formata da Grosjean e Magnussen, ragionando riguardo i nomi di chi li sostituirà si può notare un inequivocabile cambio di passo - e forse d'ambizioni - per la scuderia a stelle e strisce.
Patron Gene, finora, non aveva mai accettato ingerenze esterna nella scelta dei piloti. L’apertura alla Ferrari Driver Academy svela una parziale retromarcia, dato che il nome del candidato al sedile viene e verrà individuato in primis dalla dirigenza di Maranello. Sicuramente Haas manterrà l’ultima parola, ma è decisamente complesso immaginare possa non gradire scelte, almeno sulla carta, altamente meritocratiche. La vera trasformazione può essere invece individuata nell’abbandono dell’esperienza come qualità fondamentale di un pilota Haas. L’apertura ai giovani cementerà il futuro della scuderia come B-team Ferrari, minandone le ambizioni, o rappresenta una temporanea concessione alla carta d’identità con lo sguardo puntato a un futuro targato, a medio termine, ancora Schumacher?
La scelta di legarsi a Mazepin – a meno di clamorosi sviluppi nella vicenda Perez – si lega maggiormente ad un altro lato della mini-rivoluzione Haas, non meno importante di quello appena discusso: gli sponsor. Le monoposto grigio-rosse hanno sempre avuto una peculiarità grafica. Sono scarne, prive delle tipiche scritte – più o meno grandi – che segnalano una collaborazione commerciale con le più disparate aziende. Uniche eccezioni sono due marchi presenti sull’ala posteriore, legati a Grosjean e Magnessen; per il resto, la sola scritta ben visibile è quella del nome del patron. Il che sicuramente giova all’azienda di Gene, ma indiscutibilmente segnala un grave problema che, paradossalmente, il Budget Cap amplificherebbe. Tralasciando la comica sponsorizzazione Rich Energy del 2019, terminata a carte bollate, ottenere nuove entrate è imprescindibile per il futuro della scuderia. Mazepin, con tutto il rispetto, difficilmente risolleverà da solo le sorti sportive della squadra, ma il nome dell’azienda paterna in bella vista potrebbe sopperire agli inevitabili alleggerimenti dell’impegno di patron Gene evitando che, nel momento peggiore, il team si allontani da un tetto di spesa finalmente avvicinatosi alla sua portata. Un ragionamento a tratti disarmante ma quanto mai attuale e, dopo cinque anni di storia, forse inevitabile. Senza arrivare ai caotici picchi delle pance McLaren, sponsor anche piccoli attirano, donano attrattività alla monoposto e alla scuderia stessa, un aspetto indiscutibilmente carente nella Haas odierna.
Considerando l'importanza di questi potenziali cambiamenti, il campionato 2021 rappresenterà senza ombra di dubbio un punto di svolta nella breve storia del team statunitense. Sarà anche l’inizio di una nuova era?
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