Il sabato di Spa offrirebbe numerosi spunti di riflessione: il giro assurdo di Hamilton (prepotentemente candidatosi a raccogliere l’eredità di Re delle Ardenne quando Kimi vorrà ritirarsi), la caparbietà di Verstappen terzo ad un soffio da un sempre più spento Bottas, le Racing Point con un occhio alla corsa o Ricciardo in seconda fila. Invece l’argomento che tiene banco è uno solo: la débâcle Ferrari. Si parla esclusivamente del 13° e 14° posto agguantati da Leclerc e Vettel al termine di una sessione oggettivamente disastrosa.
Giustificabile? No, soprattutto considerato il blasone del Cavallino Rampante. Comprensibile? Già di più. Sorprendente? Per niente. È innegabile che Spa abbia sottolineato impietosamente i limiti della peggiore vettura di Maranello da sei anni a questa parte. Neanche un nodo si è salvato dal venire al pettine; eppure, se lo sgomento causato da un sabato del genere distorce il suddetto pettine, si rischia di perdere la bussola. Meglio precisare alcuni aspetti già emersi durante la stagione 2020 prima di giungere a conclusioni affrettate, che spesso coincidono con un continuo, imperterrito petulare volto al taglio di teste.
Ripassiamo velocemente i risultati delle qualifiche disputate in questa – brevissima – stagione. In Austria Leclerc agguanta un 7° posto che con il senno di poi ha del miracoloso, ma al tempo viene ovviamente percepito per quanto indiscutibilmente rappresenta: la fotografia, complice il distacco di 1’’ da Bottas, di una monoposto condannata a lottare a centro gruppo. Vettel, 11°, si riscatta (per così dire) il sabato del Gran Premio di Stiria, quando sotto il diluvio strappa l’accesso in Q3 mentre Leclerc è il primo degli esclusi. Nella sessione finale Sebastian continua a soffrire dei cronici problemi nello scaldare gli pneumatici e resta 10° a 2’’5 da Hamilton. In Ungheria, la miglior pista del calendario sulla carta per una vettura ad ‘alto’ carico, in effetti le Rosse ottengono il miglior risultato stagionale. Vettel è 5°, Leclerc 6°, ma il distacco rimane ampio: 1’’3. Il primo appuntamento a Silverstone premia un assetto coraggioso per la SF1000 e Leclerc, grazie ad un giro perfetto, agguanta il 4° posto ad 1’’3 da Hamilton, mentre Vettel è 10° a 2’’. Il fine settimana successivo gli avversari si adeguano e Leclerc deve accontentarsi dell’ottava piazza (1’’5) mentre Vettel è 12°. A Barcellona la musica è grosso modo la stessa: Leclerc 9° (1’’5), Vettel 11°.
Oggi, sui sette chilometri della pista belga, Leclerc e Vettel salvano letteralmente la baracca inventandosi dei giri spaventosi tanto in Q1 quanto in Q2. Le Rosse evitano così l’onta dell’eliminazione nella prima fase delle qualifiche ma sono costrette al 13° e 14° posto in griglia, con Leclerc, migliore dei due, staccato di 1’’7 da Hamilton e di tre decimi dalla Q3. Insomma, una scuderia che ha faticato enormemente a portare due vetture in Q3 per tutta la stagione, riuscendoci solo due volte su sei, incontra difficoltà ad adattarsi ad una pista e rimane esclusa con entrambe le monoposto dai dodici minuti finali delle prove cronometrate. Avessimo parlato dell’Alpha Tauri ci saremmo tanto scandalizzati?
È ovvio che la Ferrari merita di più. Ma la realtà, che si conosce perfettamente ormai da un mese e mezzo, era palese ben prima di Spa-Francorchamps. Esattamente come a Silverstone 1 una miracolosa combinazione assetto-pilota aveva regalato un’insperata seconda fila, principalmente a causa di configurazioni meno efficaci per gli avversari, quando si naviga intorno alla quinta fila (se va di lusso) basta un fine settimana storto per precipitare al limite del Q1. È la cruda realtà, e gridare ad una Scuderia irriconoscibile solo oggi è, banalmente, operazione miope e fuorviante.
Il tema tecnico delle gomme che non entrano in temperatura è solo un velo di Maya: basta avere un minimo di curiosità, e voglia di informarsi, per capire che è conseguenza e non causa delle prestazioni pessime di un progetto sfortunato. Persi i cavalli del motore, in Ferrari ci si è ritrovati con una vettura progettata per un certo livello di potenza con il chiaro – seppur taciuto – obiettivo di limitare i danni in vista della rivoluzione 2021. La pandemia ha scombinato i piani ed il lockdown, unito alle prestazioni comunque fuorvianti in positivo dell’inverno spagnolo (proprio come accaduto con la SF90), ha impedito di comprendere pienamente la gravità della situazione. È servita Spielberg per capire davvero la pochezza della SF1000: piuttosto che scandalizzarsi per la mancanza di aggiornamenti oggi (è passato solo un mese e mezzo, nulla in termini di progettazione in F1!), forse sarebbe meglio riflettere riguardo la qualità della simulazione a Maranello. Non a caso il simulatore di nuova concezione è atteso come un Messia in Emilia. Oltretutto sarebbe importante ricordare come qualunque grosso aggiornamento condizionerà la monoposto 2021, parziale evoluzione della SF1000 dotata di un motore inevitabilmente rinnovato, la cui concezione potrebbe aver subito ulteriori ritardi, vista la necessità di andare incontro ai nuovi regolamenti contro le mappature estreme da qualifica. Impostare una monoposto su livelli di potenza sbagliati è molto, molto pericoloso, come proprio la SF1000 insegna.
Spa, in attesa della corsa, ha semplicemente evidenziato una delle tante carenze storiche della famiglia di vetture nate a Maranello dal 2017: la generazione di grip meccanico. Correggerla sulla SF1000 avrebbe probabilmente sottratto troppe risorse alla vettura 2021, e oggi causa congelamenti anti crisi economica è impossibile intervenire su un gruppo sospensivo che si sposa malissimo con le Pirelli 2019 (adottate anche per questa stagione). Si nota sul bagnato, si nota su una pista dove, complici le temperature miti, sui lunghi rettifili le mescole si ghiacciano. Se poi il motore spinge poco e serve scaricare le ali il cocktail diventa un veleno potentissimo.
I piloti? Non sono un problema, anzi hanno tenuto a galla la zattera (pur, comunque, facendo perdere diversi punti in due occasioni su sei). Il principale problema è la monoposto. Capita, soprattutto dopo aver puntato tutto su un cambio regolamentare saltato e aver pagato la scelta di concentrare la forza della propria Power Unit su un’area grigia.
Da questa notte Rossa si uscirà solo con la pazienza e un duro, durissimo lavoro. Invocare tagli di teste in un ambiente già scarno dopo le epurazioni dell’era Marchionne non serve a nulla, se non a rallentare i progressi e complicare una difficilissima campagna acquisti.
Se poi si evitasse di gridare allo scandalo quando la prestazione – pessima – è in linea con il resto della stagione, allora forse si potrebbe cominciare a sbrogliare qualcuno dei nodi giunti al pettine. A meno che non sia troppo distorto.
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