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Immagine del redattoreLuca Ruocco

Le Castellet 1990 - Ferrari 100 e l'agrodolce Leyton House



La storia del motorismo parla chiaro. Nelle corse vince quasi sempre Golia. C’è poco spazio per i Davide: risorse minori equivalgono, quasi sempre, a risultati ben lontani dalla vittoria. Proprio per questo, quando una scuderia dalle dimensioni contenute finisce a battagliare con i grandi, a sognare la vittoria, si è naturalmente portati a sostenerla. Esistono poi casi più unici che rari, dove a un Davide in stato di grazia si contrappone un Golia alla ricerca di un traguardo prestigioso. Mai raggiunto prima. Nasce così una delle pagine più emozionanti e agrodolci della F1 anni ’90.


Questa storia ha inizio qualche anno prima dell'anno dei mondiali italiani. Nei primi mesi del 1987 Robin Herd, a capo della March, cerca disperatamente un finanziatore per il suo sogno più grande. Riportare in F1 la scuderia fondata vent’anni prima assieme a Max Mosley, Alan Rees e Graham Coaker. L’impresa, per quanto difficile, non sembra impossibile: sta per ritornare l’aspirato nella massima serie, siamo agli albori delle pre-qualifiche e fioccano gli interessati – spinti da scopi più o meno nobili – disposti ad investire in F1. Akira Akagi, un coreano naturalizzato giapponese, è uno di loro. Ha creato una fortuna nel campo immobiliare nipponico, il cui fiore all’occhiello è il più grande centro commerciale di Tokyo: i magazzini Leyton House. I due si incontrano e raggiungono velocemente un accordo: dal 1988 la March tornerà in F1. La scuderia correrà sotto le insegne Leyton House Racing, la monoposto verrà spinta da un V8 aspirato Judd e sarà dipinta nella meravigliosa livrea azzurro/verde-acqua. Il progetto, che muove i primi passi nell’estate successiva, viene affidato a un giovane e promettente ingegnere inglese: Adrian Newey. Dalla sua matita nasce la 881, una monoposto rivoluzionaria soprattutto nei concetti. Al di là della proverbiale scomodità per i piloti, costretti in un abitacolo appena sufficiente a compiere i movimenti richiesti dalla guida, è la raffinatezza aerodinamica ciò che più colpisce. Il muso a V avrà una netta influenza in tutti i progetti successivi tanto di Newey quanto dei concorrenti, fino al 2009 e ben prima che il quasi contemporaneo muso alto della Tyrrell di Migeot venga seriamente ripreso in considerazione.


La stagione 1988, che vede la Leyton House schierare Ivan Capelli e Mauricio Gugelmin, è ricca di soddisfazioni. Capelli sale sul podio in Portogallo (2°) e la scuderia artiglia il sesto posto in classifica costruttori, una vera impresa per una debuttante – seppur di ritorno -. Nel 1989 la CG891 non rispetta le attese, stabilizzandosi nelle prestazioni senza riuscire a migliorare significativamente quanto ottenuto dalla vettura precedente. Gli aggiornamenti studiati da Newey promettono bene, i concetti sono grosso modo sempre gli stessi, eppure la spirale negativa sembra inarrestabile. Continua anche nel 1990, quando Adrian si rifiuta di disegnare una vettura da zero: prima vuole comprendere cosa ci sia di tanto sbagliato in una monoposto che, al di là dell’endemica fragilità, soffre più che altro l’incostanza nelle prestazioni. In alcune curve è velocissima, in altre inguidabile. In alcuni circuiti vola – quelli più lisci – in altri fatica a rimanere incollata a terra. Newey è convinto si tratti di un problema di sensibilità all’altezza dal suolo, ma per quanto tenti di correggerlo, portando a termine gli esperimenti più assurdi, la 891 (diventata CG901 nel 1990) non migliora. Manca addirittura la qualificazione a Montreal e Città del Messico a giugno.


La fiducia della squadra in Newey comincia a scricchiolare. Lui stesso si chiede se davvero sia all’altezza della massima serie. Le mancate qualificazioni, oltre a una serie di dissapori interni con l’apparato dirigenziale, lo convincono ad accettare la proposta di Patrick Head: progettare le Williams del futuro. Senza più ruoli di capo tecnico. Adrian viene invitato a rassegnare le dimissioni una settimana prima del GP di Francia 1990, dove è programmato debutti il suo ultimo aggiornamento. Quello decisivo. Tre mesi prima Robin Herd, ormai lontano dalla sua creatura, ha finito di costruire una galleria del vento a Brackley, in Inghilterra. Newey ne ha subito approfittato per testarvi il modello della monoposto che tanti grattacapi ha sin lì creato, scoprendo una sorprendente verità. Non era il modello ad avere dei problemi. Era la galleria universitaria di Southampton, dotata di un tappeto mobile vetusto e fonte di errori impossibili da notare senza il confronto con una diversa struttura. Nel tunnel di Herd Newey testa una nuova ala anteriore e, soprattutto, un nuovo gruppo fondo-diffusore del tutto rivisto, privo dei difetti che generavano continue instabilità mai riscontrate in galleria.

8 luglio 1990, Le Castellet. Circuito Paul Ricard. Il cielo sopra la riviera francese è terso, neanche impegnandosi si riesce a scorgere una nuvola in lontananza. Il settimo appuntamento del mondiale 1990 promette scintille. Senna contro Prost, McLaren contro Ferrari. La rivalità che ha segnato un’epoca è al suo apice, esasperata dall’entrata in scena di un attore ingombrante come pochi: la Rossa. La 641 F1, logica evoluzione della 640 di Barnard, dopo una sfiammata iniziale ha patito la competitività di Senna e della McLaren-Honda nella prima parte del campionato. In Messico, però, forte di una serie di evoluzioni ha dominato la corsa, con Prost 1° dopo essere partito 11°. La pista francese, appena riasfaltata con un manto ancora più liscio, festeggia i vent’anni di attività. Il tracciato utilizzato è quello oggi conosciuto come versione Sud. Alla fine del rettifilo di partenza i piloti affrontano una doppia destra e si ritrovano subito sul rettifilo del Mistral, che li conduce alla mitica curva Signes – una delle più sfidanti del mondiale, allora affrontata in pieno solo dai piloti più coraggiosi - prima di un settore finale abbastanza simile a quello odierno. Il tutto per un giro che sfiora il muro del minuto secco. Il pubblico è quello delle grandi occasioni. L’asfalto è caldissimo, contornato da una terra secca e da caratteristici cordoli azzurri, rossi, gialli e bianchi. Tutti si aspettano di compiere almeno un cambio gomme, tutti tranne una scuderia: la Leyton House. L’otto cilindri, la leggerezza e la compostezza di una vettura rinata suggeriscono la scommessa: Capelli e Gugelmin imbarcano il carburante necessario all’intera corsa.


Al via Mansell, scattato dalla Pole Position sulla Rossa numero 2, prova a difendersi dall’attacco delle McLaren ma viene passato prima da Berger e poi da Senna, sempre all’esterno della curva Signes. Si forma così un gruppetto di otto piloti racchiusi in una decina scarsa di secondi, con i primi tre seguiti da Nannini (Benetton-Ford), Patrese (Williams-Renault), Prost, Alesi (Tyrrell) e Capelli. Sia Alain che Ivan hanno perso due posizioni rispetto al via, ma come il Professore anche l’italiano sembra sornione. In attesa degli eventi. Pressa da vicino chi lo precede ma non affonda il sorpasso. Oltre alle difficoltà presentate da una pista senza grandi staccate, gli pneumatici della sua Leyton House vanno coccolati fino al termine.


Intorno a un terzo di gara cominciano le soste ai box. Nel gruppo di testa Alesi, penalizzato dalle Pirelli poco efficaci nei curvoni, è il primo a fermarsi. Lo segue Prost, che decide di anticipare la sosta per disfarsi delle Williams, troppo veloci in rettilineo. I meccanici della Rossa, vestiti in calzoncini corti neri, camicia gialla Agip e occhiali da sole (!) sono rapidissimi, una spanna sopra a qualunque altro collega. Grazie a loro e a dei giri velocissimi a gomme nuove, nei quali il Professore mostra il suo vero potenziale, Prost dopo la girandola dei pit-stop è terzo. Ha sopravanzato Senna, Berger, Mansell, Nannini e le Williams.


Rimangono solo le Leyton House. Le vetture azzurro-verdi sono leggiadre e velocissime, sembrano dei leopardi in carbonio. Appena Capelli si ritrova in aria libera raggiunge gli avversari che lo precedono in un battibaleno, ritrovandosi al comando della corsa quando anche Patrese rientra ai box. La bontà della monoposto è confermata da Gugelmin, secondo nonostante una corsa non del tutto efficace. L’unico ad avere un passo migliore è Prost. Alla 54° tornata, dopo aver raggiunto il brasiliano da qualche giro, Alain lo passa all’interno della prima curva sfruttando un doppiato. Tre giri dopo Gugelmin parcheggerà a causa di una rottura la Leyton House a bordo pista, mentre gestiva un buon vantaggio sul quarto classificato, Senna.


L’inseguimento di Prost continua. Nei trenta giri successivi rosicchia costantemente il vantaggio di Capelli, fino ad arrivargli addosso a dieci tornate dal termine. Più indietro Mansell si ritira dopo un bel duello con Berger. Alain si fa sempre più minaccioso negli specchietti della Leyton House. Si affaccia all’interno della Double Droite, che interpreta meglio di chiunque altro, ma il varco non è mai abbastanza largo. Capelli si difende bene.


La favola di Ivan e della Leyton House è a pochi chilometri da un finale al limite del credibile: poche settimane prima, in Messico, la scuderia era addirittura rimasta esclusa dalla corsa. Ora ha la vittoria a portata di mano. Newey, sul divano di casa, ha il cuore a mille, nonostante la delusione delle dimissioni.


Il destino, però, la pensa diversamente. Sul cruscotto di Capelli si accende la spia dell’olio ad ogni curvone veloce. Deve affrontarli più lentamente. A tre giri dalla fine Prost ne approfitta infilandosi all’interno di Signes. Ivan transiterà secondo sotto la bandiera a scacchi (felicissimo sul podio), staccato di 8’’ dalla Ferrari e di poco davanti a Senna.


La folla è in tripudio. La terza vittoria consecutiva di Prost al Gran Premio di Francia lo porta a tre punti da Senna nel mondiale. È, soprattutto, il centesimo trionfo del Cavallino Rampante in Formula 1: in quel momento, un record unico nella storia dei GP.


Figlio di una corsa malinconicamente agrodolce.

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