Magny-Cours, 4 luglio 2004. Un sole rovente raggiunge ogni angolo del circuito che sorge al centro della Francia, lontano da qualsiasi grande città e dalle meraviglie della Costa Azzurra.
Sessantamila persone sfidano la canicola per assistere ad uno dei pochi Gran Premi che, in una stagione dominata da Schumacher e dalla Ferrari, potrebbe regalare qualche emozione a tinte diverse dal Rosso aranciato della F2004.
Commentatori e analisti indicano da tempo l’impianto di Nevers, con il suo asfalto liscissimo e le curve a lungo raggio, come uno dei pochi che potrebbe mettere in crisi un’accoppiata capace di vincere otto delle nove corse disputate fino a quel momento. Il mondiale non ha e non avrà storia, per chi non sogna in formato Cavallino Rampante si può solamente sperare in qualche vittoria di tappa, qualche corsa combattuta che inganni l’attesa e rafforzi la speranza di un 2005 diverso.
Il cocktail perfetto per battere la corazzata dell’era Todt ha le sembianze del tricolore francese. La Renault R24, già vincente a Monaco con Trulli, gode dei favori del pronostico tra i gommati Michelin, grazie alle coperture stesse e ad uno schema progettuale alquanto originale. Il V10 transalpino a V di 72° è infatti montato verso il retrotreno della monoposto, il che dona ottime doti di trazione alla vettura e un comportamento atipico nell’ingresso di curva, particolarmente esaltato dal colpo di sterzata ideato da Fernando Alonso, giovane stella dell’equipe d’Oltralpe. Le Michelin a spalla ‘morbida’, poi, si esaltano nelle fasi di accelerazione e percorrenza di curve a lungo raggio, donando uno spunto più marcato delle Bridgestone e un rendimento migliore a mescola fredda, il che aiuta nei primi giri dopo la partenza o i pit-stop. Il manto stradale poco abrasivo dovrebbe poi contenere il degrado tra un rifornimento e l’altro, annullando il vantaggio delle più rigide coperture giapponesi, riservate a Ferrari, Sauber, Jordan e Minardi.
Le qualifiche, disputate con il cielo coperto, donano una speranza alle migliaia di dipendenti Renault assiepati sulle tribune: Fernando Alonso conquista la Pole Position con tre decimi di vantaggio su Schumacher, mentre Barrichello – al volante della seconda Rossa – è addirittura decimo. Tra loro, una miriade di vetture gommate Michelin, partendo da Coulthard, 3° su McLaren, passando a Button, 4° con la Bar-Honda rivelazione della stagione e arrivando a Trulli, 5° sull’altra Renault.
Pochi minuti prima del via, le misurazioni sull’asfalto rilevano una temperatura di 43°C. Il valore, molto più elevato che nel resto del fine settimana, suggerisce qualche cautela in più a chi indica Alonso come facile vincitore. La consistenza del pacchetto Bridegestone-F2004, con un asfalto tanto caldo, potrebbe rimettere in gioco Schumi e il suo irraggiungibile passo gara.
I primi giri della corsa, però, infondono nuovamente speranza in chi desidera vedere colori diversi dal Rosso sul gradino più alto del podio. I suoni provenienti dalle tribune colorate di giallo e blu si fanno sempre più distinti e non accennano a placarsi. Alonso, al volante della Renault numero 8, controlla senza problemi la partenza e imprime un passo gara pareggiato dal solo Schumacher. Dietro di loro Trulli, grazie alla solita partenza al fulmicotone, è 3° mentre Montoya (Williams-BMW), Raikkonen (McLaren) e Barrichello battagliano per la 6° piazza.
Il sogno a tinte francesi diventa ancora più realistico quando la Rossa di Schumacher imbocca la corsia box al termine del 10° giro, tre tornate prima di quando sarà chiamato in pit-lane Fernando. Nell’era dei rifornimenti, e su una corsa che per tutti si prevede improntata alle tre soste, si tratta di un vantaggio enorme, perfettamente sfruttato da Nando stesso, che grazie ai giri con meno carburante a bordo emerge ancora 1° dopo la sosta, ma con 3’’9 di vantaggio.
Il progressivo avvicinarsi di Schumacher nel primo stint, con il distacco arrivato a soli 0’’6, appare allora ai più come una semplice conseguenza della minor benzina imbarcata, e solo parzialmente un segno del consumo più contenuto delle Bridgestone.
Al muretto Ferrari si sono resi conto che, nell’arco della ventina di giri tra un rifornimento e l’altro, Schumi è più veloce di Alonso. Di poco, ma è più veloce. Il problema sono i primi giri a gomme fredde, dove la Renault dell’asturiano riesce a difendersi molto bene, garantendo un tesoretto di secondi che rendono quasi impossibile il sorpasso in pista, dato che il Kaiser raggiunge l’avversario a gomme troppo consumate per sfoderare un attacco al tornantino Adelaide.
Così, mentre nelle retrovie Barrichello continua la sua rimonta e dopo il secondo stop si ritrova 5° dietro a Trulli e Button, formando un trenino che cattura l’attenzione di tutti i presenti, Ross Brawn e la sua squadra di strateghi pianifica una mossa perfetta. Una mossa audace, rischiosissima e fino a quel momento mai sperimentata da nessuno a Magny-Cours: fermarsi quattro volte ai box. Perché sia vincente, serve che il pilota non sbagli nulla una volta rientrato in pista dopo il secondo e il terzo stop. Deve compiere giri da qualifica, uno dopo l’altro, mettendoli in fila senza la minima esitazione.
Quel pilota, la Ferrari, lo ha. Si chiama Michael Schumacher e sta per regalare l’ennesima performance da brivido in sella al Cavallino Rampante.
Al giro 29 arriva l’ordine, dopo un secondo stop velocissimo per l’epoca: Michael, da qui in poi, spingi. Sempre. Il tedesco sfrutta le coperture nuove e piazza subito un tempo di 1’15’’4, mezzo secondo più rapido del precedente record. Quando Alonso rientra in pista alla tornata 33, gode di 3’’ di vantaggio. Per qualche giro, sfruttando le Michelin nuove, la Renault si difende, ma Fernando non può spingere come un ossesso: la vettura è carica di carburante e, in vista dell’unica sosta mancante, lo spagnolo deve gestire le coperture.
Michael inizia a recuperare. Giro più veloce dopo giro più veloce. Intorno al 40° passaggio è già negli scarichi di Fernando. Al giro 42 rientra ai box per il terzo pit e la sosta da 6’’5 svela l’inganno al mondo intero, commentatori e tifosi in tribuna compresi: alla Rossa manca ancora uno stop.
Scacco matto. Per la Renault è inutile reagire. Troppo tardi. Serve solo sperare che il Kaiser non riesca nell’impresa. Una futile illusione, e infatti Schumi recupera. Eccome se recupera.
Le gomme nuove e il poco carburante a bordo gli permettono di rosicchiare più di 1’’ al giro. Quando Alonso rientra ai box per la terza sosta, anticipata al giro 44 per calzare la Renault di gomme nuove e sperare di mantenere la posizione, Michael diventa 1° con 11’’5 di vantaggio. Ne servono circa venti per compiere una quarta sosta tranquilla.
Nessun problema: venti saranno. Giro dopo giro, il distacco aumenta inesorabilmente. Alla 57° tornata, quando gli uomini in rosso preparano le pistole e il bocchettone del carburante, la F2004 numero 1 precede di 20’’3 la Renault numero 8. È fatta.
Il pit-stop procede senza intoppi. Michael stacca perfettamente la frizione, percorre la corsia box a 100 km/h e, una volta tolto il limitatore, si tuffa nella lunghissima curva Estoril. Al 1° posto, con 4’’3 di vantaggio e gomme nuove.
Sempre loro. Schumi, Ross Brawn, Jean Todt, i meccanici della Rossa, le gomme Bridgestone e la F2004. Imbattibili, più forti di tutti anche nelle giornate che non li vedono favoriti. Dominanti prendendo subito il comando della corsa o inventandosi strategie al limite del possibile, aiutate da una monoposto perfetta, certo, eppure dipendenti da un pilota unico nel suo genere.
Qualche tifoso francese, deluso dall’ennesimo, noiosissimo trionfo del Cavallino, abbandona le tribune prima della bandiera a scacchi, perdendosi il gran sorpasso di Barrichello ai danni di Trulli alla penultima curva, che regala un insperato podio al brasiliano.
Podio sul quale, a prendersi la scena, è l’ormai celeberrimo saltino del Kaiser, la punta di diamante di un gruppo leggendario.
I maghi delle strategie.
Trovate qui il video-riassunto RAI della corsa.
STORIEMOZZAF1ATO, invece, ha raccontato un'altra, spettacolare edizione del GP di Francia: Le Castellet 1990, con la sfida tra la Rossa di Prost e la Leyton House di Ivan Capelli.
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