Il circuito salotto. La vetrina della Formula Uno. Il toboga monegasco dove non si sorpassa mai, si assiste solo a processioni infinite, noiose, decise interamente al sabato pomeriggio.
Potremmo riempire un’altra decina abbondante di righe con i più disparati luoghi comuni sul Gran Premio di Monaco. Senza rischiare, tra l’altro, di collezionare grossolane falsità, dato che in merito la saggezza popolare sembra sapere il fatto suo. Nelson Piquet paragonava il guidare una monoposto nel Principato al girare nel salotto di un appartamento in sella ad una bicicletta; il glamour, piaccia o meno, è sempre stato uno degli attori principali del fine settimana in Riviera; il risultato della corsa, infine, è clamorosamente influenzato dalle qualifiche del sabato.
Esiste però un cliché riguardo il quale vale la pena soffermarsi più a fondo. Montecarlo, è risaputo, regalerebbe sorprese. Al di là della storia del Gran Premio, pressoché infinita, al di là dei campionissimi che hanno inciso il proprio nome nella leggenda del Principato (tutti aspetti di cui si occuperà martedì Giù la Visiera), la pista incredibilmente atipica sarebbe capace di ribaltare le gerarchie. Offrire risultati insperati, sussulti dentro a campionati decisi sin dalla prima gara, enigmatiche pause all’interno di sfide iridate lunghe una stagione.
È davvero così? Il fine settimana di gara che inizierà giovedì prossimo potrebbe seriamente incoronare un pilota diverso da Hamilton o Verstappen, primi e secondi dal Bahrain alla Spagna?
GLI ULTIMI VENTISEI ANNI
Perché ventisei e non trentaquattro, quarantasette o quattordici, direte voi? La risposta è più semplice – ma non per nulla banale – di quanto sia lecito immaginare. Considerare le ultime ventisei edizioni del Gran Premio di Monaco significa tornare indietro nel tempo fino al 1994. Andando oltre, si sfocerebbe nell’era Senna.
Un pilota entrato in simbiosi assoluta, totale, inscalfibile con il Principato, tanto da vincere sei edizioni della corsa in sette anni (cinque di fila), far segnare cinque pole position (assieme alle vittorie, record assoluto per il Gran Premio) e insinuare nella mente di noi folli appassionati – per un momento ignari di leggi, statuti e trattati - il dubbio che Alberto sia solo Principe perché, in fondo, il Re di Montecarlo è e sarà per sempre solo lui.
Ritornando al nostro obiettivo, per tentare di comprendere se Monaco sia davvero terra di sorprese utilizzeremo come base dei nostri ragionamenti la tabella sovrastante. Per ognuna delle ventisei edizioni dal 1994 al 2019, al vincitore del Gran Premio di Monaco viene affiancato il pilota laureatosi Campione del Mondo a fine stagione. Il colore dei nomi, come ampiamente intuibile, indica la squadra d’appartenenza di ognuno dei piloti: rosso per la Ferrari (ma dai!), argento per la McLaren, verde acqua Petronas per la Mercedes e così via.
La prima e più immediata considerazione da trarre è che in sole 9 delle ultime 26 edizioni il pilota vincitore a Montecarlo si è laureato a fine stagione Campione del Mondo. Parliamo, quindi, del 34,6% delle volte, una percentuale francamente bassissima se confrontata con quella di diversi tracciati permanenti. Nello stesso lasso di tempo, ad esempio, il pilota futuro iridato ha vinto il 65,4% delle volte il Gran Premio di Spagna.
Ampliando il campo d’indagine alla scuderia d’appartenenza del campione del mondo (graficamente, quando i colori di pilota vincitore e pilota iridato coincidono), il 53,8% delle edizioni (14 su 26) sono state vinte dalla monoposto del futuro campione. Allargando ulteriormente la prospettiva, solo 15 volte su 26 la vettura rivelatasi più performante a fine stagione ha vinto il Gran Premio di Monaco (57,69%); rientra nel gruppo, ad esempio, il 2005 con Raikkonen o il 2007 con Alonso, a fine anno vice-iridati ma dotati del pacchetto globalmente più veloce sul giro singolo.
UNA NATURA… SORPRENDENTE
Abbiamo quindi compreso come, statisticamente, in effetti il Gran Premio di Monaco si confermi meno prevedibile rispetto alla stragrande maggioranza delle piste.
Ciò non significa, ovviamente, che le corse siano sempre spumeggianti e piene di colpi di scena. Può capitare, data la facilità con la quale imprevisti legati ad incidenti e Safety Car possono accadere, ma è alquanto raro. Soprattutto considerando come, dal divieto dei rifornimenti in poi, le corse sui cittadini 'stretti' (Singapore e Monaco) vengano controllate dall’inizio dal leader, che compatta il gruppo per evitare di subire un pit-stop anticipato degli avversari, per poi alzare il ritmo brevemente in occasione della propria sosta, rientrare davanti e controllare la corsa fino alla bandiera a scacchi.
Allo stesso tempo sono individuabili alcune ragioni tecniche per cui non sempre i dominatori dei campionati si sono confermati a Montecarlo. Nell’era iridata di Schumacher e della Ferrari (2000-2004), il tedesco ha vinto solo una volta sul toboga della Riviera. Eppure, Michael tra i muretti volava (4 pole position in totale); banalmente, uno dei principali punti di forza della Rossa non si adattava a Montecarlo. Le gomme Bridgestone, infatti, faticavano a rendere al meglio – a causa di precise scelte progettuali – nei primi giri e sulla tornata secca, oltre che sui tracciati a bassissima aderenza, mentre erano capaci di mantenere eccellenti livelli di performance anche al termine degli stint. Non a caso, dal 2002 al 2006 vinsero sempre monoposto calzate Michelin.
Un altro interessante periodo è l’ultimo prima della pandemia. Dal 2016 (anno in cui Ricciardo su Red Bull, dominatore del fine settimana, perse per un problema al pit-stop) al 2019 la Mercedes ebbe solo una volta la monoposto migliore nel Principato, proprio nell’ultima stagione. La scelta di adottare un assetto a basso rake e lunghissimo passo, infatti, ha penalizzato enormemente le Frecce d’Argento nelle strettissime curve del Principato, nonostante poi dominassero il resto del mondiale. Non a caso, nel 2020 Hamilton rimase impressionato – anche se non esiste la controprova monegasca, per ovvie ragioni – dal lavoro dei tecnici di Brakley, capaci di fornirgli finalmente una vettura iper-competitiva nel lento e agilissima nei cambi di direzione.
Infine, non può venire in alcun modo sottovalutato il fattore pilota a Montecarlo. Nel corso del tempo più e più volte l’essere umano ha superato i limiti della propria vettura nel Principato. Da Moss nel 1961 a Senna nel 1984, da Trulli nel 2004 a Ricciardo nel 2018, monoposto in forma sul tracciato cittadino guidate da piloti in stato di grazia hanno regalato sorprese per nulla aderenti all’andamento del resto del mondiale.
Con ogni probabilità, dopo un’analisi del genere, l’edizione 2021 finirà per rivelarsi noiosa e scontata. Eppure un pilota funambolico, in grado di estrarre tutto il potenziale dalla propria monoposto (e anche qualcosa di più), su strade calpestate giusto qualche volta nella propria esistenza, a ben guardare ci sarebbe…
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