Nürburgring. L’inferno verde. Domenica 1° ottobre 1995. I piloti di F1 raggiungono il circuito per la sessione di warm-up, programmata per le 09.30 locali. Sono accolti da una pioggia consistente, nascosta da una nebbiolina che impedisce di estendere lo sguardo oltre le immediate vicinanze. Sono condizioni che hanno contribuito ad alimentare, nel tempo, il mito del tracciato tedesco. Le previsioni indicano che la pioggia diminuirà d’intensità fino a scomparire poco prima della partenza, costringendo i piloti a prendere il via su una pista destinata ad asciugarsi con il passare dei giri. Quanto in fretta, viste le temperature tardo autunnali, nessuno lo sa.
La pioggia non ferma l’ammassarsi dei tifosi di Michael Schumacher. L’idolo di casa, nato a un centinaio di chilometri dalla Nordschleife (il Circus correrà sul tracciato moderno, inaugurato nel 1984), è avviato da tempo alla conquista di uno dei mondiali più indecifrabili della storia della massima serie. Schumacher, campione del mondo in carica, ha sì beneficiato di una Benetton non più penalizzata dall’otto cilindri Ford – la B195 monta il 10 cilindri Renault – e di una scuderia perfettamente oliata, ma è stata la schiacciante superiorità mentale dimostrata nei confronti di Hill ad aver realmente condizionato la corsa al titolo. Damon, come ammetterà coraggiosamente negli anni successivi, ha sofferto enormemente nel reggere la pressione della sfida iridata, amplificata dal disporre della monoposto globalmente migliore, la Williams FW17 disegnata da Adrian Newey. I goffi tentativi di sorpassare Michael – sfociati in ritiri per entrambi – a Silverstone e Monza, la batosta di Spa (vittoria di Schumacher partito 16° dopo un intenso duello): più che i 17 punti da recuperare in quattro gare (i punti vengono assegnati secondo la sequenza 10-6-4-3-2-1), sembra essere Damon stesso il problema più grande per Hill nella corsa al titolo. La Williams ha aiutato il proprio pilota quanto più possibile, portando in Germania un nuovo cambio accoppiato a nuovi cinematismi della sospensione posteriore, aggiornamento dai risultati immediati: in qualifica Coulthard e Hill hanno monopolizzato la prima fila. Schumacher è terzo.
Le Ferrari di Berger e Alesi sono rispettivamente 4° e 6° in griglia di partenza. La 412 T2, ultima Rossa spinta dal glorioso e melodico 12 cilindri, ha mostrato di poter continuare il processo di crescita iniziato nella stagione precedente con la vittoria di Berger ad Hockenheim. La vittoria di Alesi in Canada, così come la mancata doppietta a Monza, sono sì figlie di circostanze fortuite, e il distacco superiore al secondo in qualifica al Nürburgring ne è piena conferma, ma è innegabile che qualche progresso ci sia stato. La fortuna, però, va aiutata: Jean Todt e gli strateghi del cavallino decidono di montare gomme d’asciutto alla partenza. La scommessa è rischiosissima: solo le McLaren, desolatamente indietro in griglia – la stagione delle vetture bianco-rosse è imbarazzante -, imitano le Rosse. Troppi i rischi, troppe le difficoltà nel mandare in temperatura le gomme slick su una pista tanto fredda.
Alle 14 locali non cade più nessuna goccia di pioggia. Le monoposto, nel giro di ricognizione, alzano acqua appena escono dalla traiettoria principale. Solo qualche spruzzo, ma la pista non è del tutto asciutta, questo è certo. I 68 giri previsti diventano 67 quando la prima procedura di partenza viene annullata a causa della Arrows di Max Papis, rimasta in stallo pochi metri prima della griglia di partenza. Al via Coulthard mantiene il comando, seguito da Schumacher, Irvine (Jordan-Peugeot) e Hill. Berger e le McLaren perdono velocemente posizioni. Solo Alesi, tra i partenti con gomme slick, mantiene la propria: è 6°. Al primo passaggio alla chicane NGK, penultima sequenza di curve del tracciato, Hill sopravanza la Jordan con un’aggressiva manovra all’esterno, mettendosi alla caccia di Schumacher. Sa che non gli basterebbe neanche vincere tutte le ultime quattro corse della stagione. Deve mettere sotto pressione Michael. A casa sua. Deve evitare, in qualunque modo, che il tedesco arrivi sempre secondo. Deve portarlo all’errore.
La prima decina di giri vede stabilirsi gerarchie ben definite: davanti comandano Coulthard, Schumacher e Hill, racchiusi in due secondi. Damon tenta in tutti i modi di farsi vedere negli specchietti della Benetton, anche se non riesce mai a portare a termine un attacco. Più indietro, a circa 15 secondi, si trovano Irvine, Herbert (Benetton) e Alesi. Il francese ha lentamente innescato temperatura nelle proprie coperture, gestendo una monoposto quasi incontrollabile. Fatica, però, a trovare spazio per affondare il sorpasso, vista l’eccessiva umidità fuori traiettoria. Finalmente, all’ottavo passaggio, trova il varco desiderato. È 4°. Alla tornata successiva fa suo il record sul giro. È il segnale che tutti aspettavano. Schumacher e Hill rientrano ai box al giro 11, Coulthard una tornata dopo. Il pit-stop della Benetton è velocissimo: Ross Brawn sembra intenzionato a non cambiare la propria strategia. Michael avrebbe corso su tre soste se fosse stato asciutto, e su tre soste correrà. Hill e Coulthard imbarcano invece il carburante necessario a compiere un solo altro pit-stop per completare la corsa.
Alesi e la Ferrari, adesso primi in solitaria, sembrano aver pescato il jolly giusto. Jean continua imperterrito la sua corsa, velocissimo e dotato del carburante sufficiente per concludere la corsa con un singolo passaggio ai box. Dovrà pagare lo scotto di una seconda parte di corsa a vettura molto pesante, ma il vantaggio sugli avversari sembra sempre più rassicurante. La bassa temperatura della pista fa il resto: mentre Giovannino ritocca ad ogni passaggio il record della pista, i suoi avversari faticano, come accaduto a lui nei primi giri, a generare calore nelle coperture. Alesi guadagna manciate di secondi ad ogni intermedio, tanto che al 30° passaggio, quando si ferma ai box, ha 40’’ di vantaggio su Schumacher.
Il tedesco della Benetton ha ereditato la seconda piazza da Coulthard, sprofondato in classica a causa di un problema d’affidabilità, dopo aver resistito come un leone alla rimonta di Hill. Damon aveva anche portato a termine un pregevole sorpasso ai danni dell'avversario per il titolo nella S che precede il rettifilo di ritorno, salvo poi finire lungo nel tornantino finale della pista, dovendo nuovamente cedere la posizione. L’errore, avvenuto proprio nel punto dove Schumacher fa la differenza rispetto a tutti gli altri piloti, unito ad una successiva chiusura maschia di Michael, ha convinto Hill a desistere momentaneamente: la sua strategia sembra ancora la migliore.
Alesi permettendo: il francese esce dai box ancora primo. Il rifornimento, durato 15’’8, gli permetterà di coprire le restanti 37 tornate. Dietro di lui Hill si avvicina velocemente, molto più rapido grazie alla vettura leggera. Schumacher, invece, si è fermato in pit-lane nello stesso giro della Ferrari, imbarcando carburante solo per una ventina di giri.
La pista ora è molto più asciutta. Michael, nel 1995, è maturato tantissimo. Non sbaglia più, e la simbiosi con Ross Brawn è diventata perfetta. Quando l’ingegnere inglese gli ordina una missione impossibile, lui risponde presente. Si concentra, entra in una specie di tunnel mentale, e comincia a segnare tempi da qualifica. Uno dopo l’altro. Stavolta però la richiesta sembra assurda, anche per lui: deve recuperare 35’’, fermarsi ai box, recuperarne ancora più di 20 e passare, in pista, Alesi. Manovra difficilissima, come dimostra quanto sta succedendo ad Hill. Piombato velocemente sugli scarichi della 412 T2, l’inglese fatica enormemente a passare Jean. Sembra addirittura aver rinunciato all’idea. Poi, però, ancora una volta si spegne la luce. La mente di Damon cede. A quattro curve dalla corsia box, nella quale deve entrare per il rifornimento, vede uno spiraglio mentre Alesi è rallentato da un doppiato. Si tuffa all’interno. Finisce prima nell’umido, poi sull’erba, a ruote fumanti. Tocca la posteriore sinistra della Ferrari: Alesi prosegue senza danni, Hill senza ala anteriore. La sua corsa è praticamente finita, dato che il pit-stop che segue dura quasi 40’’. Il mondiale sembra definitivamente scivolargli dalle mani, anche se rientra in pista quarto, dietro al compagno di squadra Coulthard. Se Schumacher rimanesse secondo, e lui agguantasse il terzo gradino del podio, i danni verrebbero relativamente contenuti. Non ci riesce. Al giro 59 finisce lungo proprio nella curva dell’incidente. Tocca con due ruote l’erba, ma continua ad accelerare. Risultato? Monoposto incontrollabile, volo verso le barriere, schianto. Mondiale finito (Schumacher si laureerà campione al Gran Premio del Pacifico tre settimane dopo).
Il giovane Kaiser, però, ha ancora una missione da compiere. Vola. Guadagna dai due ai quattro secondi al giro ad Alesi. Ha una monoposto migliore e, soprattutto, più leggera. Gli arriva in scia pochi giri prima di rientrare ai box. Non tenta neanche il sorpasso. Alla 52° tornata imbocca la corsia di servizio. Riprende la pista con lo stesso quantitativo di carburante di Alesi, ma gomme lucide. Nuovissime. In quindici giri deve recuperare 22.382 secondi. Impossibile. Non può farcela.
Invece ce la fa.
Implacabile, Michael recupera un secondo a settore. È un rullo compressore. Alesi sente la tensione, la monoposto non vola più come nelle prime fasi di gara, tanto che fatica a doppiare la McLaren di Hakkinen e finisce leggermente lungo alla chicane, galleggiando sulla terra, mentre prova a passare la Ligier di Brundle (ai tempi i doppiati non erano obbligati a lasciare strada, anche se i gesti di cavalleria erano prassi soprattutto per chi pilotava vetture lente). La Benetton raggiunge la Rossa a cinque giri dalla fine. Schumacher inizia a farsi vedere negli specchietti. Studia Alesi. Lo attacca alla chicane NGK, ma il francese chiude la porta. Jean guadagna tempo doppiando in maniera spettacolare Badoer.
La 64° tornata passa indenne. Michael però ha capito dove attaccare.
Giro 65. Tre giri al termine, quindici chilometri. Il tedesco affianca Jean, finito leggermente lungo, alla curva Dunlop. Alesi chiude la porta, ma perde lo slancio in trazione. Michael rimane vicino. Prende la scia della Ferrari prima della chicane NGK. Si apre all’esterno in frenata. Stacca all’ultimo metro disponibile. Passa.
La folla è in tripudio. L’idolo di casa ha compiuto un’impresa impossibile. Gli ultimi due giri sono una passerella trionfale.
Jean Alesi, cuor di leone, ha dato tutto sé stesso. È stato battuto proprio da chi lo sostituirà in Ferrari, ma la corsa in Germania è stato l’ennesimo esempio di una storia, quella tra il francese e la Ferrari, che pur senza trionfi a raffica ha regalato emozioni irripetibili.
Negate, al Nürburgring, da un marziano. Il giovane Kaiser.
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