A dieci giorni di distanza dalla corsa, il fine settimana del Gran Premio di Abu Dhabi non viene ricordato per l’azione in pista – latitante –, i duelli all’ultima staccata – non pervenuti – o i titoli mondiali già assegnati. Piuttosto, nonostante le migliaia di chilometri di distanza rimbomba ancora potente l’urlo della Renault R25 pilotata da Fernando Alonso durante le pause tra una sessione e l’altra. La monoposto giallo-blu, affidata all’asturiano per celebrare i quindici anni dal titolo conquistato nel 2005, salutando al contempo il nome Renault che lascerà spazio ad Alpine, ha risvegliato animi sopiti dalla pacatezza dei turbo ibridi, ha scatenato il ritorno delle cicliche crociate contro i motori elettrici e ha gettato benzina sul fuoco di chi, ammaliato dal latrato dei propulsori aspirati, brama un ritorno alla massima serie che fu.
Andando momentaneamente oltre qualunque giudizio di merito riguardante la strada tecnica intrapresa nell’ultimo decennio dalla Formula Uno, è lecito piuttosto chiedersi perché, tra i cordoli della pista emiratina, la Renault sembrasse più veloce delle monoposto attuali. Diversi lo hanno ribadito, tra articoli, televisione e piattaforme social: visivamente, la R25 appariva più veloce delle venti monoposto che partecipavano al Gran Premio di Abu Dhabi. Anche a volume spento, castrando la melodia che inevitabilmente aiuta, grazie a note acutissime, ad enfatizzare la sensazione di ammirare un oggetto potente, veloce, letteralmente fragoroso.
È doveroso chiarire una premessa riguardante l’analisi che proverà, in seguito, a dirimere questo dubbio sensitivo : i tempi della R25 non verranno – volutamente – considerati. Non sarebbe corretto né da un punto di vista logico (scarti attorno ai cinque secondi al giro non sono percepibili ad occhio nudo), né tanto meno da uno sportivo. La RS25 montava gomme slick, al contempo un vantaggio grazie alla maggiore impronta a terra e uno svantaggio viste le sospensioni ottimizzate per i pneumatici scanalati e di diversa misura del tempo; inoltre, le coperture Pirelli non permettevano ad Alonso di adottare il caratteristico stile di sterzata grazie al quale, complice la spalla deformabile delle Michelin, l’asturiano sfruttava magistralmente la peculiare ripartizione dei pesi verso il posteriore della monoposto francese. Allo stesso tempo, i progetti del 2020 devono sottostare a limitazioni enormemente maggiori (su tutte il consumo e il flusso di carburante, l’estensione del diffusore e il numero di appendici aerodinamiche), il che penalizza le monoposto odierne nonostante queste, sul giro secco, mantengano un vantaggio di circa cinque secondi a tornata ad Abu Dhabi.
Torniamo allora al tema principale dell’analisi, e per farlo aiutiamoci con i video sottostanti. Nel primo possiamo ammirare la Pole Position di Jarno Trulli a Monaco 2004. La RS24, figlia di un regolamento tecnico leggermente diverso rispetto al 2005, è perfettamente in grado di dimostrare le peculiarità delle monoposto del tempo. Veloce (comunque tre secondi più lenta della pole 2019 di Hamilton), leggera, scattante, la vettura giallo blu trasmette un forte senso di prontezza, aggressività e precisione tra le stradine del Principato.
Concentrandosi sul passaggio alla chicane delle piscine, confrontiamolo con quello sottostante delle monoposto 2019. La vettura di Trulli si muove, si scompone sui cordoli ed è visivamente più brusca nell'imbardata che la posiziona verso la staccata successiva. Le vetture di Hamilton, Verstappen e Vettel appaiono invece decisamente più stabili, dotate di una tangibile inerzia nei movimenti. Perché questo accade?
La risposta è banale e coinvolge una delle criticità principali delle monoposto odierne: la massa elevata. Al di là delle prestazioni – che, ribadiamo a scanso di equivoci, sono significativamente migliori oggi, soprattutto nei curvoni veloci -, è la differenza di peso la causa principale dello scarto visivo tra le Formula Uno dei primi anni 2000 (o degli anni ’90) e quelle turbo-ibride.
Com’è possibile, da un punto di vista fisico, tutto ciò? Al di là dell’intuizione – un elefante è più goffo di un ghepardo – perché la Renault di Alonso appare più agile e nervosa? Il grafico sottostante rappresenta, in verde, un generico esempio di Funzione di Risposta in Frequenza.
Tali curve hanno il compito, nello studio della dinamica dei corpi, di ‘mappare’ la risposta di un corpo ad una forzante caratterizzata da una certa frequenza. Se, ad esempio, battiamo i pugni sul tavolo al ritmo della lancetta dei secondi dell’orologio, applicheremo una forza alla frequenza di 1 Hertz (cicli/secondo). Il grafico illustrato è tipico di un sistema massa-molla-smorzatore, ossia un generico corpo collegato a terra da una molla (responsabile della risposta elastica) e uno smorzatore, un oggetto (come gli ammortizzatori delle mountain bike) che grazie a forze viscose smorza letteralmente le oscillazioni di un corpo. Nella generica FRF possono essere notate tre zone:
- una zona quasi-statica, coincidente con la prima porzione quasi-orizzontale della curva;
- una zona di risonanza, dove il corpo – eccitato alla frequenza propria – esaspera enormemente le oscillazioni subite (curiosi di comprendere cosa voglia dire? Cliccate qui);
- una zona sismica, dove il sistema ‘sospensivo’, superato il picco di risonanza, filtra le oscillazioni provenienti dalla forzante.
Semplificando enormemente i modelli delle monoposto (ma davvero, enormemente!) possiamo comprendere, grazie al grafico della FRF, perché la monoposto di Alonso risulti più scattante e nervosa. Ponendo uguali tra le vetture alcuni parametri fondamentali di analisi del genere (rigidezza, smorzamento adimensionale), possiamo studiare la risposta della RS25 e di una fantomatica SF1000 a una forzante verticale (avvallamenti, cordoli gli esempi più banali). L’unico parametro a variare è la massa: 605 kg a secco per le F1 2005, 746 kg per quelle 2020. La frequenza propria, data dalla radice quadrata del rapporto tra rigidezza e massa, cambia così radicalmente, traslando il picco della curva rossa (peso maggiore, frequenza propria quindi minore) più a sinistra, verso frequenze più basse e quindi ‘lente’. Il grafico rosso, in zona sismica, vive quindi su valori minori di quello azzurro; alla maggior parte delle forzanti, la risposta della SF1000 sarà quindi maggiormente filtrata e perciò meno visibile.
Le telecamere meno performanti o il rumore dei motori aspirati sono solo attori minori nello spettacolo delle monoposto dell’era Schumacher; in realtà, le stesse appaiono più veloci principalmente perché sono più leggere.
Sarebbe opportuno chiudere con una morale, una riflessione conclusiva? Forse sì, ma sottraendoci in parte dal compito, vi invitiamo noi a sviluppare un pensiero: quanto è affascinante che, portandosi dietro 141 kg in più, la W11 di Hamilton macini record su record consumando circa la metà del carburante?
SENZAF1ATO ringrazia per la preziosa consulenza il Dottor Ernesto Ricciardi.
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