Forse sbagliamo noi, prigionieri di un pensiero errato, di un modo di seguire le corse che non esiste – tragicamente – più.
Forse dovremmo evitare di sorprenderci riguardo a qualunque commento possibile, dopo che esistono individui capaci di pensare che Hamilton, a Sochi, abbia cercato apposta la penalità per raggiungere il record di Schumacher al Nürburgring. Come se, tra l’altro, scavalcare il numero di vittorie del Kaiser in Germania non fosse uno smacco ben superiore. Esistono mille altri esempi della tossicità assoluta che permea l’ambiente al seguito del mondiale 2020 di Formula 1, tra cui le brillanti menti che associano lo stato di forma Renault al ritiro della protesta nei confronti di Racing Point.
Il vero problema è che la suddetta tossicità circonda, aggredisce e colpisce la Scuderia Ferrari. La quale, di questo passo, non diventerà mai una squadra con la esse maiuscola. Mai. Ne abbiamo parlato più volte sulle pagine di Col Cuore in Gola, soffermandoci tanto sui giudizi che inseguono la Rossa quanto sul nervosismo, sul terrore di commettere errori che perseguita qualunque membro del team. Sono passate diverse settimane eppure nulla è cambiato, anzi se mai il fine settimana di Sochi ha confermato, amplificato, scolpito nella pietra le vere criticità da sfidare a Maranello.
Perché, ad oggi, pensare che la SF1000 sia il problema principale della Scuderia è incredibilmente riduttivo. La pochezza della monoposto 2020 è palese, ingiustificabile sul piano sportivo - ma non su quello logico - e praticamente incorreggibile. Ormai, però, la situazione è assodata. Il reparto tecnico, indiscutibilmente bisognoso di rinforzi, ne sarà perfettamente consapevole e, nei limiti imposti dai regolamenti anti-crisi, si starà cercando una soluzione. Evidentemente, se aggiornamenti consistenti tardano ad arrivare, la causa va ricercata nell’opportunità di concentrare lo sviluppo su una versione evoluta della SF1000, dotata di una Power Unit decente: eventualità possibile solamente nel 2021. Giusto o sbagliato che sia, avvilente o meno, serve farsene una ragione. Gli obiettivi per questo finale di 2020 vanno ricalibrati: senza commettere errori e trovando un giusto assetto si potrà lottare per qualche punto, altrimenti si rimarrà ai margini della top-ten. Gridare allo scandalo ad ogni sessione, spulciare ossessivamente tra i responsi cronometrici 2019 per esibirsi in confronti desolanti è un puro esercizio di masochismo.
Il vero dramma è che intorno a Maranello, una volta sottratte le prestazioni della vettura dall’equazione, rimangono ancora una miriade di commentatori, tifosi e addetti ai lavori pronti a puntare il dito su ogni sbavatura dalla squadra. Tra chi difende Vettel nascondendone prestazioni imbarazzanti, chi disseziona ogni dichiarazione di Binotto per criticarlo e richiederne la testa, chi giudica qualunque scelta del muretto e chi adduce a differenze tra le vetture di Sebastian e di Leclerc, il clima intorno alla Scuderia è del tutto impazzito.
Dopo la corsa di Sochi si è deciso di crocifiggere, almeno secondo una parte dei social, chiunque si permetta di criticare Vettel, secondo la difesa costretto a sacrificare la sua corsa per rallentare le Renault. Una panzana bella e buona: in quel momento chiunque montasse gomme medie ha allungato lo stint, forte di un ottimo passo, e Vettel avrebbe perso solo tempo a lasciar sfilare Ocon, per altro castrando il proprio spirito di corridore. Sebastian non ha coperto né difeso nessuno, tanto che palesemente si cercava ritardarne il pit-stop per montare gomme Soft. Che poi le prestazioni degli pneumatici siano crollate di colpo e la sosta ai box sia arrivata con un giro di ritardo, rispetto alle richieste del tedesco, è un discorso diverso ed opinabile, nel quale Leclerc - già fermatosi – non ha alcun ruolo. Invece l’importante è criticare il maligno muretto, scordandosi come Sebastian pagasse 25 secondi di distacco dal compagno dopo trenta giri, dimenticando il botto auto-indotto in qualifica e una partenza tanto buona da lasciarlo appena dietro il compagno di squadra prima della staccata di curva 2. Dopo, il buio totale, mentre Leclerc a pari gomme viaggiava tranquillamente in zona punti. Il risultato? Un pilota perso, ombra di sé stesso, convinto di aver estratto il massimo dalla vettura (13°, con il compagno 6°) e perennemente giustificato. Il quale ovviamente non esita ad iniziare ogni intervista con una frecciatina.
L’assurda, continua caccia alle streghe inizia a dare i suoi frutti anche nelle parole di Leclerc. Il quale travolto dal nervosismo di ieri, o stanco delle prestazioni oggettivamente pessime, dopo una corsa positiva macchia le interviste post-gara tirando una stoccata ai propri meccanici. Colpevoli (udite, udite!) di aver perso otto decimi in un pit-stop; al di là che Ricciardo sarebbe passato comunque, davvero Charles ritiene corretto esternare un pensiero del genere, dopo che la SF1000 ha pagato dalla Renault dell’australiano quindici secondi a fine corsa? Sarebbe cambiato qualcosa, serviva esporre alla piazza una componente della squadra incapace – è sempre bene ricordarlo – di difendersi a mezzo stampa?
Potremmo continuare all’infinito, giocando a chi più ne ha più ne metta: da Binotto che scivola su una buccia di banana ad ogni dichiarazione, tra l’altro accusato alternativamente di eccessivo protagonismo (quando rilasciava due interviste a fine settimana) o di codardia (quando è necessario aspettare le sue parole dai comunicati ufficiali della domenica ed al sabato parla Mekies).
In Ferrari dovrebbero aiutarsi da soli, per carità. Progettando una monoposto competitiva, raggiungendo la precisione Red Bull nei pit-stop ed evitando errori di concitazione al muretto come accaduto in qualifica ieri. Se serve, introducendo nuovo personale od operando le necessarie sostituzioni. Nessuno lo nega.
La Formula Uno, però, è molto più dello sviscerare ogni singolo secondo di un fine settimana della Rossa. È incredibilmente ingenuo pensare che la Scuderia non risenta del clima di attacco continuo che la circonda.
Non è un caso che in Mercedes, immersi in un ambiente che critica senza stroncare, segue le corse appassionandosi anche a storie diverse da quelle delle Frecce d’Argento, Allison dopo gli errori di Hamilton si pronunci così: ‘abbiamo sbagliato tutti, come una squadra. Lewis prima, noi dopo ad evitare che ripetesse l’errore. Non ho altro da aggiungere’.
Meditate, gente. Meditate.
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