Alla vigilia del Gran Premio del Portogallo un enorme interrogativo aleggiava sopra le teste degli ingegneri di ogni singola scuderia: la pista di Portimão avrebbe confermato la natura di rebus pressoché irrisolvibile o i sei mesi dalla corsa di ottobre avrebbero cambiato le carte in tavola?
La risposta vincente è stata la seconda, e sin dal venerdì si è compreso come l’unica variabile del fine settimana sarebbe stato il corretto utilizzo delle gomme Pirelli. Nulla di trascendentale o poco sportivo; capita due-tre volte a stagione, e determina sconvolgimenti tanto importanti nelle gerarchie prestazionali da regalare interi fine settimana in formato sorpresa extra-large. Il fenomeno, tra l’altro, non riguarda solamente l’ultima generazione di pneumatici della Casa milanese. Basti pensare al Gran Premio di Singapore 2015, quando una Mercedes altrimenti dominante sbagliò completamente l’assetto, non fu capace di mandare in temperatura nessuna delle mescole e rimase anni luce distante dalla Ferrari di Vettel.
L’asfalto di Portimão, posato nella tarda estate del 2020, ha mandato in crisi gli assetti di quasi tutte le monoposto. Chi ha saputo limitare i danni – per merito, fortuna o entrambi – ha ottenuto un risultato al di là delle attese. Mercedes ha dominato su un tracciato dove si aspettava di soffrire, o quanto meno di battagliare alla pari con Red Bull; Alpine, in crisi pseudo-mistica fino ad Imola, è risorta mostrando un passo molto vicino a quello di Norris, il migliore a centro gruppo.
‘Attivare’ le gomme è diventato un mantra dai connotati vicinissimi alla stregoneria o a forme alternative di gioco del lotto. Prima di passare alla Ferrari, pensate a Russell: 11° in qualifica, si aspettava di avere un passo ancora migliore in gara ed è sprofondato poco sopra le Haas. Ricciardo era il più veloce a centro gruppo nella prima porzione di corsa con gomme medie, montate le hard – la mescola globalmente migliore, Pirelli aveva ragione a portare la C1 in Portogallo – la rimonta si è plafonata su un ritmo simile a quello di Ocon che aveva gomme più vecchie di venti giri, mentre l’obiettivo realistico prima dello stop era raggiungere Leclerc a fine corsa.
Arriviamo così alle prestazioni Ferrari. Su una pista che avrebbe dovuto premiare le Rosse, le SF21 sono andate via via nel pallone con il passare dei giorni. Venerdì, durante la giornata meno ventosa delle tre, i tempi erano talmente buoni da far credere agli ingegneri Mercedes che Leclerc e Sainz sarebbero stati più vicini alle monoposto nere che alla McLaren. Le stesse sensazioni della vigilia a Maranello.
Al contrario, sin dalla qualifica la SF21 ha mostrato di patire enormemente la lotteria Pirelli. Più di quanto preventivabile, molto più di quanto accettabile (il che mostra quanto sia ancora lunga la strada davanti agli ingegneri emiliani). Leclerc ha indovinato solo un giro su sette; Sainz non ha commesso errori ed infatti è arrivato il quinto posto in griglia. La partenza per lo spagnolo è andata secondo i piani – chi parte sulla destra è svantaggiato dal disegno della prima curva, e infatti Carlos ha sopravanzato Perez -, ma dalla ripartenza dopo la Safety Car in poi è iniziata una discesa lenta e alquanto amara.
Quando si guida la monoposto dotata del motore peggiore del lotto, non si può sbagliare le ripartenze. È accaduto a Leclerc ad Imola, è accaduto oggi a Sainz a Portimão. Persa la scia di Verstappen, Perez è passato con facilità e, purtroppo per lo spagnolo, anche Norris complice un leggero rallentamento di Sergio in curva 1.
Ed è questa la chiave della prestazione in decrescendo della Ferrari numero 55 (mai citata da Carlos durante le interviste, ed è un peccato dato che l’autocritica aiuta soprattutto chi in squadra non può parlare, ossia meccanici e ingegneri). Sainz ha mostrato di avere il passo della McLaren con le Soft. Non abbastanza migliore da superare Norris, ma tanto da rimanergli vicino.
Eseguire un undercut, a quel punto, era mossa saggia e prevedibile. Montare le medie altrettanto, sia per quanto dimostrato da tutte le altre monoposto - Leclerc a parte, ma probabilmente si credeva Sainz potesse confermare la superiorità del fine settimana anche nella gestione gomme -, sia per quanto indicato dalla Pirelli, sia per le prove del venerdì. Purtroppo Norris ha resistito all’attacco iniziale e Sainz, giustamente data la prossimità della McLaren, continuando a spingere nella fase di vita iniziale dello pneumatico ha innescato un’usura eccessiva che si è tradotta nel tracollo di fine gara.
Ovvio che col senno di poi montare le hard sarebbe stato più intelligente. La Ferrari, però, è stata la prima a richiamare il proprio pilota ai box. Il tracollo dello spagnolo è figlio di una serie di circostanze negative, innescate dalla perdita di posizione nei confronti di Norris, che hanno esacerbato le difficoltà della monoposto. I periodi ipotetici si sprecano; dalla mescola diversa al pit-stop, fino alla gestione differente della sosta nel caso fosse stato davanti, ogni risvolto della corsa di Sainz sarebbe potuto andare diversamente.
La realtà è che a Portimão, e soprattutto nelle specifiche condizioni offerte dalla pista portoghese, per raggiungere il quinto posto Sainz e la Ferrari sarebbero dovuti essere perfetti. È bastato montare la mescola sbagliata e perdere la posizione in ripartenza perché la missione diventasse impossibile.
La voglia di sovvertire un destino ‘avverso’ e annullare le difficoltà della monoposto ha, al contrario, innescato un tracollo opposto. Dal quale però sarebbe bene evitare di trarre conclusioni eccessivamente affrettate.
Portimao, tanto nella lotta mondiale quanto per la Ferrari, potrebbe rappresentare un’eccezione. In fondo, era stato così anche nel 2020. Non è cambiato l’asfalto e la lotteria si è ripetuta.
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