Giù il cappello davanti a Lewis Hamilton. Niki Lauda non avrebbe esitato un istante a portare la mano verso il celeberrimo berretto rosso per festeggiare la novantunesima vittoria in carriera dell’inglese. Lasciamo i distinguo con Schumacher, le analisi sulla competitività delle vetture guidate e di quelle degli avversari al domani, chissà quanto lontano. Gli argomenti non mancheranno – nell’era ibrida Mercedes ha vinto quasi il 75% dei GP, la Ferrari di Schumi non andò oltre il 68% -, si potranno riempire interi inverni senza corse a confrontare i due piloti più vincenti della storia. Ammesso e non concesso l’operazione possa trovare anche una sola, minima giustificazione.
Si potrebbe indagare a fondo anche sulle cause e i meriti riguardanti la vittoria di Re Lewis (lo faranno domani, come tutti i lunedì, le Bandiere a Scacchi di SENZAF1ATO). Così facendo si perderebbero di vista, però, le storie migliori del Gran Premio dell’Eifel. È comprensibile che uno sport in crisi d’identità, privo da tempo di una seria lotta iridata, cerchi nella gloria dei propri campioni, nella riscrittura di un record qualche spunto d’interesse. È altrettanto palese che la morbosa attenzione verso le prestazioni Ferrari persegua lo stesso, amaro scopo. Urlare a prestazioni clamorosamente scarse da parte di una vettura da tempo rivelatasi senza un futuro attira chi, ferito nell’intimo del proprio tifo, gode della polemica sterile. Non serve che Binotto ammetta, prima della gara, la necessità di difendere una qualifica magica da vetture sulle carta migliori in corsa; non serve neanche l’esperienza passata (la SF1000 è andata spessissimo in difficoltà nei primi giri, si veda il Mugello), o la palese impossibilità di ribaltare la situazione da parte di modifiche di dettaglio, né tanto meno l’esempio di McLaren e Racing Point che non riescono ad ottimizzare gli aggiornamenti introdotti nel fine settimana. La SF1000 è una monoposto pessima, difficilissima da portare al limite, dotata di un propulsore inadeguato e quasi impossibile da mantenere nella finestra d’utilizzo migliore, il che la porterebbe comunque ben lontana dal podio. Nulla di tutto ciò argina il fiume impetuoso di critiche che investe la Scuderia ad ogni Gran Premio nel quale Leclerc non riesce a confermare le magie del sabato. L’attenzione, purtroppo, si attira così.
Eppure il Nürburgring ha regalato ben altre storie. Storie sempre e comunque emozionanti, quale che sia lo stato d’animo che provocano.
Il clima, il caso o la semplice coincidenza hanno riportato in auge la crudele legge dell’affidabilità, capace nella storia delle corse di spezzare sogni e carriere, rincorse a un piazzamento in zona punti o a un titolo mondiale. Qualcuno si è interrogato riguardo la beffa che ha colpito Bottas appena il finlandese, per la prima volta, ha messo seriamente sotto pressione Hamilton?
Perché la prestazione di Hülkenberg deve rimanere relegata ad una notizia marginale, ad un complimento breve e coinciso, quando il tedesco ha portato a punti una monoposto quasi sconosciuta (a causa degli aggiornamenti), dopo aver saputo il sabato mattina che avrebbe corso al Nürburgring? Stiamo parlando di un pilota senza un contratto fisso, sicuramente lontano dalla condizione fisica migliore e privato di un qualsivoglia programma di test, oltre che delle prove libere del venerdì.
Nulla da fare, ci si concentra solo sullo scontatissimo raggiungimento di un numero (che poi, perché non festeggiare il probabilissimo superamento? I misteri della cabala…) da parte di un pilota eccezionale, fantastico, che rimarrà negli annali ma dotato, nel 2020, di una vettura che rendeva noiosamente scontato il traguardo.
Nessuno si accorge della gara di Grosjean. Sì, proprio lui, quello preso in giro da chiunque, il pilota il cui sedile pochi, pochissimi giustificano. Eppure il ginevrino ha corso con un dito colpito da un sassolino – non proprio piacevole, immaginate vi colpisca anche solo mentre pedalate – e, soprattutto, ha difeso un nono posto fortunoso con una sontuosa ripartenza su gomme Hard. Hard, mentre dietro lo seguivano piloti con vetture più competitive e mescole Soft!
Come scordare, poi, il podio di Daniel Ricciardo e della sua Renault RS20. Un traguardo inseguito dalla scuderia transalpina per quasi cinque stagioni. Anni difficilissimi, anni di polemiche e richieste di epurazioni della dirigenza, in particolare di Abiteboul (non suona nessun campanello riguardo il trattamento riservato a Binotto?); interi campionati densi di frustrazione, un rapporto terminato troppo presto con Ricciardo stesso, in partenza al termine della stagione. Sessanta giri capaci di ripagare le rotture sul più bello, il rapporto burrascoso con Red Bull e gli umori ondivaghi del CdA, messi in soffitta dalla genuina esultanza di Luca De Meo dopo il sorpasso ai danni della vettura di Leclerc. Una coppa che esalta, profuma di futuro.
Tutto passato in secondo piano. Irrimediabilmente, senza appelli. Aspettando, in settimana, i classici commenti riguardo la Formula Uno che non regala più storie.
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