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Immagine del redattoreLuca Ruocco

Suzuka 1987 - Quando la Ferrari tornò a Vincere


È il primo giorno di novembre 1987. Suzuka, Giappone. Il mondiale di Formula Uno sembra aver consegnato alla storia tutti i suoi verdetti. La Williams è campione del mondo da settimane, dopo aver dominato la stagione conquistando, fino a quel momento, nove vittorie su quattordici corse. Piquet, dopo l’infortunio di Mansell al venerdì in seguito ad un botto violentissimo, è campione del mondo senza dover neanche puntare a un piazzamento.


Nei piani dei vertici Honda la meravigliosa pista, voluta venticinque anni prima dal fondatore Soichiro, dovrebbe ospitare l’ennesima parata di un motore turbo del Sol Levante. Senza Mansell in pista, le speranze sono riposte su Senna (Lotus-Honda, due vittorie in stagione) e il neo-tre volte iridato Piquet. L’unica, realistica minaccia è la McLaren-Porsche di Prost (tre vittorie), dotata di un ottimo telaio limitato da un’unità motrice molto affidabile, parca nei consumi ma ormai superata. Il francese partirà dalla prima fila, seconda casella, dopo aver staccato un tempo di 1’40’’7 in qualifica. La Williams numero 6 è quinta, Senna è settimo. In seconda fila, Boutsen su Benetton-Ford e Alboreto su Ferrari.


L’italiano, voltando leggermente la testa in griglia di partenza, può focalizzare lo sguardo sulla vettura in Pole Position. È rossa, come la sua, e porta il numero 28. La pilota Gerhard Berger, austriaco arrivato pochi anni prima in Formula Uno dal turismo. Ama i motori, gli scherzi e le donne – non esattamente in quest’ordine, almeno secondo le leggende del tempo -, e dopo qualche stagione a metà gruppo, culminata con l’aver condotto alla vittoria la Benetton in Messico nel 1986, è stato scelto da Enzo Ferrari per aiutare la risalita in classifica della Rossa. Giudicando dai responsi cronometrici del sabato (1’40’’0, sette decimi più veloce di Prost), Berger sembra aver avuto successo nell’impresa.


Purtroppo, la verità si discosta leggermente da una lettura tanto affrettata. La Rossa non vince un Gran Premio da più di due anni (4 agosto 1985, Nürburgring). La famigerata estate del 1985 - con Enzo Ferrari deciso a cambiare fornitore di turbine perché convinto che la tedesca KK&K favorisse la Porsche - aveva agito da spartiacque cambiando il destino della Casa di Maranello in Formula Uno. Alboreto aveva visto dissolversi, gara dopo gara, il sogno iridato, nascosto nel fumo dei motori rotti a ripetizione. Il reparto tecnico era precipitato in un vortice di difficoltà. Nel 1986, nonostante alla guida vi fosse ancora Harvey Postelthwaite, la monoposto aveva coniugato a scarichi in modalità ''teiera impazzita'' prestazioni del tutto insufficienti. Michele Alboreto fu secondo in Austria, Stefan Johansson terzo in quattro diversi appuntamenti; per il resto, rotture o piazzamenti ben lontani dal podio.


Nel 1987, grazie al lavoro di Gustav Brunner e agli aggiornamenti concepiti dalla superstar tecnica John Barnard, la F1-87 appare da subito molto più competitiva. Il problema è che il motore si rompe spesso; anzi, si rompe sempre. L’unità italiana ha guadagnato molti cavalli rispetto alla concorrenza, in particolare grazie all’introduzione della valvola pop-off volta a limitare a 4 bar la pressione massima in uscita dal compressore. Un utilizzo sempre più raffinato del componente ha reso la monoposto, nella seconda metà della stagione, la più potente del gruppo. Il prezzo da pagare, però, è stato altissimo in termini di ritiri. Alboreto, dopo due podi a San Marino e Montecarlo, non ha mai visto la bandiera a scacchi nel corso dell’intera estate. Berger, al contrario, ha colto solo quarti posti o ritiri fino al Gran Premio del Portogallo, dove è giunto secondo dopo aver siglato la Pole Position. In Messico, ultima gara prima del Giappone, Gerhard si è ritirato mentre conduceva agevolmente la corsa.


Due anni, due mesi e ventisette giorni di digiuno dalla vittoria. Un’eternità in Formula Uno. Una traversata nel deserto infinita, crudele, dolorosa anche perché coincidente con il peggiorare delle condizioni di salute del Drake. Sono rimaste solo due possibilità di cogliere la vittoria prima della pausa invernale: Suzuka e Adelaide.


Le monoposto si schierano per la prima volta sul rettifilo in discesa, in futuro teatro di alcune delle partenze più famose di sempre. I piloti mantengono la pressione sul pedale del freno intervallando, con studiata maestria, colpetti all’acceleratore per mantenere il turbo pronto all’azione.


Allo spegnimento dei semafori Berger è perfetto: evita che Prost sfrutti il lato più pulito del tracciato e chiude velocemente la porta al francese, impostando la prima svolta a destra in pieno controllo. Alboreto, invece, stalla e viene sorpassato dall’intero gruppone. Due file oltre, Senna è lesto nello sfruttare il caos generato dalla Ferrari piantata e scarta Fabi (Benetton) e Piquet.


Gerhard, al volante della Ferrari numero 28, vola. Aggredisce le Esse, la Curva Degner, il Curvone Spoon e il tornantino con una precisione assoluta. Alla fine del primo giro ha 2’’5 di vantaggio su Prost. Al fine della seconda tornata, ne possiede 6’’2 sulla Benetton di Boutsen perché Alain, sfortunatissimo, ha forato dopo essere transitato su detriti presenti nel rettifilo principale. Il giro ad andatura lentissima, e la sostituzione degli pneumatici, saranno un fardello impossibile da scrollarsi di dosso. La McLaren numero 1 terminerà settima, ad un giro dal vincitore, dopo una rimonta convincente.


L’avversario più pericoloso è fuori gioco. Il compagno di squadra, Alboreto, è attardato in una rimonta spettacolare, utile a dimostrare la velocità della F1-87 (Michele è 11° dopo 12 tornate, 4° dopo 24) ma troppo dispendiosa in termini di tempo perché possa insidiare il pilota austriaco. Ogni aspetto della corsa, insomma, sembra sorridere a Berger. Eppure, troppe volte la Rossa lo ha lasciato a piedi. Il vantaggio sugli inseguitori, stabilizzatosi intorno ai 15’’ dopo una decina di giri, potrebbe rivelarsi del tutto inutile. Così come l’andatura controllata che Gerhard sembra volersi auto-imporre per non stressare troppo la meccanica.


La Benetton di Boutsen, con il passare dei giri, perde qualche colpo, così Senna, Piquet e Johansson (McLaren-Porsche) lo passano facilmente. I due brasiliani procedono in formazione serrata, con il campione del mondo incapace di affondare la staccata sull’asso paulista.


Più indietro nel gruppone, Ivan Capelli su March sbatte al 16° giro mentre è in testa tra le monoposto a motore aspirato. La differenza di prestazioni è talmente evidente che, a quei tempi, le scuderie dotate di propulsori atmosferici si contendevano il ‘Jim Clark Trophy’.


Poco prima della ventesima tornata, Johansson rientra ai box per cambiare gli pneumatici. Lo seguono Berger (24° tornata, 6’’98 di stop, il migliore mostrato in tv), Senna, Piquet e Alboreto. Lo svedese, grazie ai doppiaggi, sembra poter insidiare Berger mentre l’austriaco scalda dolcemente le proprie coperture, ma l’impressione si dissolve rapidamente quando Gerhard, fiducioso dell'aderenza a disposizione, distanzia nuovamente la McLaren nel giro di qualche curva. Alla 38° tornata Gerhard ha un vantaggio di 10’’ su Johansson e 30’’ sulla coppia Senna-Piquet, con Alboreto 5°.


A cinque tornate dalla fine Piquet si ritira con il motore in fumo, mostrando comunque un largo sorriso davanti alle telecamere vista l’assoluta tranquillità in termini iridati. Senna, invece, raggiunge proprio all’ultima tornata uno Johansson in improvvisa difficoltà, soffiandogli il posto sul gradino del podio. Sì, ma quale gradino?


Dipende tutto dalla Rossa numero 28. Dall’umore della belva che si è conquistata, per un’ora e mezza, il favore delle telecamere, impegnate a mostrarne la trionfale solitudine, e quello dei microfoni, investiti dal suono rauco del sei cilindri emiliano, che ad ogni scalata regala fiammate benedette dai teleobiettivi dei fotografi.


Berger non sbaglia nulla. Conduce quasi tutta la corsa al comando. I giri passano. 46, 47, 48, 49, 50. 51, gli ultimi cinque chilometri. La Rossa regge. Gerhard arriva alla chicane del Triangolo, scala una, due, tre marce. Piega il volante a destra, poi a sinistra, poi di nuovo dolcemente a destra. Non scoda in uscita, accelera senza problemi.


Imbocca la discesa finale e la vede sventolare. Lei, la bandiera scacchi. La Ferrari è tornata alla vittoria, il Drake ha potuto vivere un’altra, magnifica gioia terribile.


A due giorni dalla presentazione della SF21 viene da pensare che, chissà, magari questa pagina dell’epopea del Cavallino Rampante è destinata a ripetersi… in fondo, dopo un temporale arriva sempre il sereno, no?

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