Suzuka, 8 Ottobre 2000. Il cielo sopra il circuito giapponese minaccia pioggia sin dalla mattinata. Le squadre si aspettano possano arrivare scrosci, anche di notevole intensità, dopo circa un’ora dall’inizio della gara. Sulla griglia di partenza regna un silenzio surreale, carico della tensione che ha pervaso tutto il fine settimana. Guardando verso la prima fila si possono scorgere due macchie di colore, prima della discesa verso la prima curva. Sulla casella appartenente a chi ha siglato il miglior tempo domina il rosso della Scuderia Ferrari. Sulla destra, invece, il grigio McLaren si fonde con l’asfalto e con il cielo, assumendo le forme di un’unica, imprevedibile minaccia. Michael Schumacher, infatti, è ad un passo dalla conquista del titolo mondiale, iride che, per un motivo o per l’altro, gli sfugge da tre stagioni consecutive. La caccia al primo posto in campionato, la missione per la quale il tedesco è stato accolto a Maranello come un messia, fino a quel momento sembra essere stregata. Un vero e proprio incubo, un mostro spaventoso che assume le fattezze di Jacques Villeneuve a Jerez 1997, o di una frizione traditrice a Suzuka 1998, o ancora di un guasto ai freni a Silverstone 1999. Ormai, però, non si può più aspettare, e Michael lo sa. Per questo è rimasto in silenzio nella sua vettura per un buon quarto d’ora prima del warm-up mattutino, gesto mai compiuto prima. Il Gran Premio del Giappone può finalmente essere l’occasione buona, deve esserlo. È vero, non siamo alla partenza dell’ultima corsa della stagione, quella si terrà due settimane dopo a Kuala Lumpur, in Malesia. Lasciare però che Mika Hakkinen vi arrivi con una residua possibilità di vittoria non è contemplato né contemplabile, troppi i rischi di un ennesimo, dolorosissimo finale.
La stagione 2000 è stata un continuo di alti e bassi per i due contendenti al titolo. Il campione in carica Hakkinen ha vissuto una partenza da incubo, con due ritiri nelle prime tre gare, dopo le quali si ritrova già staccato di 24 punti dal rivale tedesco, sempre vittorioso. Le successive cinque corse, fino al Gran Premio del Canada, vedono un sostanziale equilibrio tra Ferrari e McLaren, che si spartiscono senza sosta il gradino più alto del podio. Il finlandese, però, rimane 24 lunghezze dietro a Schumacher dopo la corsa in Canada, mostrando come solo un miracolo possa rimetterlo in gioco. Miracolo che accade nelle tre gare successive: Michael si ritira in Francia, Austria e Germania, mentre Mika ottiene una vittoria e due secondi posti, presentandosi così al Gran Premio d’Ungheria con due soli punti di ritardo. Impensabile prima dell’arrivo dell’estate. La McLaren è terribilmente in forma, tanto che Hakkinen vince la corsa magiara e quella successiva, a Spa, con un sorpasso ai danni di Schumi entrato negli annali dell’automobilismo. Il circus si sposta a Monza, dove la Ferrari è costretta a gonfiare di nuovo il petto se vuole ancora credere nell’iride. Lo fa, e bissa il successo ad Indianapolis qualche settimana dopo, dove Hakkinen si ritira, dando a Schumacher la possibilità di accumulare 8 preziosissimi punti di vantaggio, forte dei quali si presenta a Suzuka. Nella terra del Sol Levante è sufficiente, per il tedesco, guadagnare due soli punti sul finlandese per chiudere il discorso mondiale. Gli basterà perciò mantenere la prima posizione conquistata in qualifica, per soli 9 millesimi su Hakkinen, e dopo 21 anni il titolo mondiale prenderà nuovamente la via di Maranello.
La storia di come si sia arrivati alla griglia di partenza di Suzuka smette di contare quando si accendono i motori. I V10 aspirati, nonostante producano un baccano infernale, non coprono il continuo, incessante suonare di trombe che proviene dalle tribune stracolme. Tutti guardano la prima fila, non sembrano neanche esistere gli altri 20 piloti schierati in griglia. Si accendono in sequenza le cinque coppie di semafori rossi. Sta per iniziare la corsa più importante della vita da pilota di Michael Schumacher. Allo spegnimento delle luci il tedesco scatta bene, ma non quanto Hakkinen. Così Michael prova a chiudere l’avversario, accompagnandolo verso il bordo del tracciato, ma la McLaren ha troppa velocità in più, ed il tedesco deve accodarsi alla prima curva. Nei primi giri del GP nessuno riesce a seguire i due contendenti al titolo, come se Hakkinen e Schumacher appartenessero ad un’altra categoria, come se corressero ben oltre le possibilità delle loro monoposto, comunque le migliori del lotto. La corsa prosegue ad un ritmo infernale per i due, fino alla prima sosta: il distacco non supera il secondo e mezzo per i primi 15 giri, arrivando poi a salire fino a 2.5 secondi prima dei pit-stop. Dietro di loro la corsa è e rimarrà profondamente noiosa, con pochissimi sorpassi, praticamente tutti a firma di Villeneuve sulla BAR, qualche uscita di pista ed un totale di tre rotture meccaniche. Sembra quasi che i colleghi non vogliano togliere l’attenzione dalla coppia di testa. Giunge così il momento del primo rifornimento. Ross Brawn, direttore tecnico della Scuderia Ferrari ed artefice delle strategie, sa di doversi inventare qualcosa. Il suo alfiere non ha lo stesso passo della McLaren, consuma di più le gomme e perde circa un decimo al giro. Il genio inglese ordina di imbarcare più carburante del previsto al tedesco alla prima sosta, scommettendo su un’unica, flebile chance. Quella che Schumi, nei giri che percorrerà a serbatoio quasi vuoto dopo la seconda sosta di Hakkinen, possa accumulare il vantaggio decisivo per effettuare la sosta e riemergere dai box primo. Perché questo accada serve però una magia del tedesco, che deve riuscire ad avvicinarsi nuovamente alla McLaren numero 1 dopo essere finito 4 secondi lontano dopo la prima sosta.
Qualche corsa molto speciale, nella lunga storia della Formula 1, sembra quasi volerci dire che la magia esiste. O quanto meno esistono momenti capaci di esaltare campioni, di cambiare il corso di una stagione. Uno di questi avvenne proprio a Suzuka diciannove anni fa.
Sul circuito giapponese, dopo il pit-stop dei primi due, arriva la tanto attesa pioggia. Non è abbastanza forte da suggerire l’impiego di pneumatici da bagnato, ma lo è abbastanza da risvegliare Michael Schumacher. Il tedesco comincia a rosicchiare qualche decimo su Hakkinen. I decimi diventano poi secondi. Fino ad arrivare ad un distacco di soli 8 decimi al momento della seconda sosta del finlandese. Ora Schumi deve letteralmente volare. E lo fa. La sua è una danza perfetta sull’asfalto viscido, una danza grintosa ma precisa e inarrestabile, tanto che non verrà rovinata né dalle Jaguar doppiate, né dalla Benetton di Wurz finita in testacoda proprio nei pressi della pit-lane, proprio durante il giro di rientro della Ferrari numero 3. Hakkinen, intanto, fatica a mandare in temperatura le gomme a causa della leggera pioggia. Il pit-stop dei meccanici Ferrari è velocissimo. Schumacher percorre la corsia box a velocità limitata. Sembra potercela fare. Le immagini staccano sulla McLaren, mentre questa affronta la chicane del triangolo, l’ultima frenata prima del rettifilo principale. Quando la rossa riemerge dalla corsia box, Hakkinen sbuca solo in lontananza. Michael Schumacher ce l’ha fatta. È primo. Restano tredici lunghissime, infinite tornate. Le trombe da stadio suonano sempre più forte ad ogni passaggio del tedesco. Quello che sembrava impossibile, un ritorno della Ferrari sul tetto del mondo, sta per accadere. La pioggia, la benedetta pioggia, non smette ma rimane abbastanza debole da permettere alla gara di finire senza stravolgimenti.
La conclusione di questa storia non spetta a chi vi scrive. Le parole scritte, per quanto ricercate, non possono far comprendere cosa stesse accadendo a Suzuka. Guardate il video qua sotto per capire la portata dell’impresa di Michael Schumacher in quel giorno dal cielo plumbeo, giorno a cui il tedesco ha saputo dare ben altri colori. Quelli dell’arcobaleno.
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