Premessa doverosa, oltre che ovvia: le Safety Car hanno enormemente contribuito allo spettacolo della prima corsa di questa tanto attesa stagione 2020. Sono state utili a ricompattare il gruppo più volte, favorendo strategie di pneumatici sempre più variegate tra le (poche) monoposto rimaste in pista, ed hanno reso i problemi d’affidabilità ai sensori Mercedes ben più preoccupanti a causa dei continui surriscaldamenti. Se quindi da un lato l’utilizzo massiccio della vettura di servizio potrebbe far storcere qualche naso tra i puristi (utilizzo, tra l’altro, in linea con quanto accaduto nelle corse di F2 e F3), dall’altro ci ha regalato emozioni che mancavano da troppi mesi. Salti sul divano per sorpassi effettuati all’ultimo momento, colpi di scena a suon di ruotate e sospiri meravigliati davanti all’ennesimo, improvviso ritiro.
Insomma, gli astri si sono allineati per regalarci una corsa memorabile nonostante il dominio assoluto e incontrastato delle Mercedes, totalmente prive di avversari seri in condizioni normali di gara. La conformazione del tracciato, l’altitudine ed il fatto che il Gran Premio d’Austria fosse il primo in stagione hanno rappresentato ulteriori elementi favorevoli al pullulare di momenti imprevedibili. Eppure, una volta che per un motivo o per l’altro le prestazioni delle vetture si sono avvicinate, ad emergere sono stati i piloti. Tentativi di sorpasso e difese al limite, scelte giuste o scelte sbagliate. Hanno ricordato quanto siano capaci di rendere indimenticabile una corsa fino a pochi minuti prima soporifera e senza storia, perché dietro al volante siedono persone ben più interessanti di qualunque DAS o bandella laterale di un diffusore. Le storie che ci hanno regalato vanno al di là delle prestazioni cronometriche della vettura nera (ottime), di quella rossa (imbarazzanti) o di quella blu.
Il giro finale di Lando Norris è un toccasana che cancella mesi d’attesa snervante per il ritorno delle corse. È un concentrato di precisione, determinazione e sangue freddo sorprendente tanto per la giovane età dell’inglese quanto per l’enorme pressione del momento. Sicuramente avrà avuto a disposizione massima potenza, ma non era scontato riuscisse a recuperare tanto terreno sulla Mercedes di Lewis Hamilton, segnando al contempo il giro più veloce grazie a due settori finali (quelli con le curve) integralmente illuminati di viola.
Nei contatti frutto di svariate controversie i protagonisti sono i piloti, non i motori o le curve d’accelerazione. Dietro alla lavagna troviamo Sebastian Vettel e Lewis Hamilton, rei d’aver innescato due contatti probabilmente evitabili. Il tedesco, in lotta per tutta la corsa con una vettura estremamente nervosa, è nuovamente caduto nel baratro dal quale tenta di scappare da ormai due anni. Il movimento del posteriore, fino a quel giro tenuto a bada, lo ha tradito proprio nel momento del bisogno, quando ha provato ad approfittare del duello tra Sainz e Leclerc, giudicando l'occasione in maniera eccessivamente ottimistica. Il bloccaggio dell’anteriore sinistra si è trasformato nell’ennesimo testacoda, simbolo di un Vettel costretto perennemente a voltarsi indietro verso demoni dai quali non riesce a scappare, amplificando i problemi di una monoposto le cui criticità sarebbe chiamato a limitare. Hamilton, al contrario, ha dato tutto sé stesso per riprendere un Bottas apparso in controllo, finendo per scontrarsi più volte contro la (malcelata) volontà del muretto Mercedes di portare a casa la doppietta senza troppi patemi d’animo. La storia della corsa lo ha poi nuovamente messo di fronte ad Alexander Albon. Il tailandese ha attaccato la Mercedes forte di un motore meno in crisi e di gomme migliori, indovinando un sorpasso da cineteca all’esterno della curva Rauch, il tornantino in discesa dopo il terzo rettilineo. Lewis non è stato palesemente scorretto, ma sembra aver evitato di combattere l’inevitabile sottosterzo - dovuto alla natura del tratto di pista - per mettere in difficoltà il rivale, lasciandogli il minimo spazio necessario. La manovra non è andata a buon fine e la penalità, anche se severa, può essere accettabile. Lo è molto meno l’aver concesso a Bottas un'enorme iniezione di fiducia: nel 2016 le prime corse vinte da Rosberg segnarono irrimediabilmente il campionato.
Infine, parlando di piloti protagonisti al Red Bull Ring, non può mancare Charles Leclerc. Il monegasco, negli ultimi undici giri, si è caricato la Ferrari sulle spalle portandola ad un secondo posto letteralmente inspiegabile viste le prestazioni della SF1000. Leclerc ha mantenuto un passo leggermente inferiore a Racing Point e McLaren per tutta la corsa, perdendo ad ogni allungo il poco tempo guadagnato in curva. È però rimasto sempre a galla, pronto a cogliere occasioni che, dopo l’ultima ripartenza, ha finito per crearsi da solo. Il sorpasso su Norris è stato dirompente, figlio di una staccata coraggiosa su una complessa traiettoria esterna. La vera magia è accaduta due giri dopo. La SF1000, nonostante il DRS aperto, faticava ad affiancare la Racing Point di Perez nel rettifilo che porta al tornantino Remus. Il messicano, forte di almeno una monoposto di vantaggio, ha frenato in maniera regolare, impostando la svolta a destra senza grandi preoccupazioni, fino a quando non ha visto una macchia rossa al suo fianco. Leclerc ha frenato tardissimo, calcolando magistralmente l’attimo nel quale uscire di scia. La staccata, pulita e chirurgica, gli ha consentito di uscire comunque forte dalla curva senza subire alcun contrattacco.
Un pilota che va oltre quanto reso possibile dalla propria monoposto: è l’essenza della Formula 1, che risiede sotto quei caschi sempre più colorati e nascosti. Fino a quando rimarrà, varrà la pena trattenere il respiro allo spegnimento dei semafori.
Grazie, piloti del Gran Premio d’Austria.
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